martedì 21 settembre 2010

Democrazia rappresentativa

Eleggere la trota, ahi che dolore. La trota è buona solo in carpione,oh elettore cogl....


lunedì 13 settembre 2010

L'affondo di Rita




A scuola dalla lega

pubblicato da Rita Pani

Mi dispiace molto che i leghisti siano geneticamente impossibilitati a sviluppare un pensiero di senso compiuto, diversamente mi sarei divertita un po’ a spiegargli come una masnada di nuovi ladri, li stiano trasformando e omologando sul modello della Cina di Mao. Le effigi sui banchi, il culto della personalità imperante riprodotta nelle aiuole, e via, via i simboli da adorare come amuleti, non solo come Mao, ma come qualunque esempio della storia recente che alla fine li ha visti quasi tutti cadere dai loro piedistalli con una corda legata al bronzeo collo.



Loro, i legaioli, che sono stati addestrati come polli in batteria a odiare il nemico comunista, a citare a casaccio la Cina di Mao, non saranno mai in grado di guardare la fine che stanno facendo, con un leader che nomina suo unico successore un figlio cretino, che ruba dal ripudiato stato italiano i danari per sua moglie, che alleva discepoli a cui donare un pezzetto di potere, col quale poi spadroneggiare e sistemare parenti e affini fino al quarto grado, e anche con un elezione che sempre più appare truccata.



Coadiuvati dal più imbecille ministro all’istruzione degli ultimi 150 anni, iniziano la secessione culturale, inculcando il modello padano nei bambini fin dalla tenera età, per farne veri celti lottatori, pronti a marciare su Roma a piedi, mentre i grandi capi preferiranno l’aereo di stato (quello italiano, ovviamente). E andranno a rivendicare la loro identità. Non so se ad Adro verrà sostituita la tuta ginnica con scudo, alabarda ed elmetto cornuto, se il quadro svedese sarà abbandonato per il tiro alla fune e il lancio del maiale nel fango, usanze culturali del popolo cattocelticopadano, ma è molto probabile, e soprattutto auspicabile per i momenti di tristezza più nera di un qualunque cittadino italiano normodotato. C’è da temere tuttavia che i cento metri piani possano essere sostituiti con la caccia al negher o successive varianti islamico, o rom.



La cultura è tutto per la lega di quel che resta di bossi, che anni addietro ebbe a rivendicare con orgoglio di non aver mai letto un libro in vita sua, e al contrario di Mao di cui tutti ricordiamo il libretto rosso, è riuscito a convincere tutto il suo popolo che leggere era una pessima abitudine. Lo si può facilmente comprendere ascoltando per trenta secondi radio padania. Ma nonostante questo, i negher o extra in generale dovranno frequentare i corsi di milanese, finanziati dallo stato italiano, per essere certi di poter lavorare in Padania. Certo se poi questo trova lavoro a Brescia … potrebbe sorgere un problema. Non accadrà, era solo una battuta, lo sappiamo bene che queste minchiate cosmiche sono solo ladrocinio legalizzato. Noi lo sappiamo, il legaiolo no, poveretto. Lui non sa per antonomasia.



Ma oggi è il primo giorno di scuola in tutta Italia. Un giorno storico per la scuola che perde lavoratori, materie e ore. Il primo giorno in cui mille nuovi alunni entreranno nei nuovi licei musico corali, dove potranno diventare musicisti e ballerine. Una sorta di nuova scuola politica, verrebbe da pensare. Che se una volta si studiava a Frattocchie ora si diventa ministre diplomate al liceo. E liceo di stato, mica doveva continuare a prendersi tutto il merito Maria De Filippi.



Rita Pani (APOLIDE)

domenica 12 settembre 2010

Saggezza tibetana



Il boom della medicina tibetana : "Chi si arrabbia si ammalerà"
Il professor Namkhai Norbu, 72 anni, grande saggio e maestro buddhista

La cura ripristina l'equilibrio tra mente e corpo

da : La Stampa,

PIERANGELO SAPEGNO INVIATO A BOLOGNA
A vederlo così, il professor Namkhai Norbu sembra un anziano signore che ha la saggezza di uno sciamano, la sua lentezza, il suo mistero. Parla con voce piana e bassa. Strano contrasto: un Maestro nella nuova capitale infelice della via Emilia. La biografia di Namkhai Norbu dice che sin da bambino «è stato riconosciuto come reincarnazione del Grande Maestro di Dzogchen Adozom Drugba», e poi «come la reincarnazione di Shabdrung Ngawang Namgyal, primo Dharmaraja del Bhutan». Probabilmente, vuole dire che è un predestinato.

«Glottologo e ricercatore di fama mondiale, autore di centinaia di testi», ancora oggi, a 72 anni, Namkhai Norbu «viaggia in tutto il mondo tenendo conferenze e ritiri cui partecipano migliaia di persone». L'Associazione per la Medicina Centrata sulla Persona l'ha fatto venire a Bologna. «Lezione magistrale del professor Namkhai Norbu: La medicina tibetana, patrimonio dell'Umanità», recita la locandina. Aula magna, Università di Bologna, e un po' di gente. Fa un certo effetto, perché la medicina tibetana è una scienza lontana, quasi una filosofia. È uno stile di vita che, come dice Simonetta Nicolai, medico e fondatore del New Yuthok Insititute for Tibetan Medicine, «considera la salute una questione di equilibrio». Vivi bene e starai bene. Facile dirlo così.

Ma qui, in quella che un tempo veniva chiamata la capitale dell'edonismo, il contrasto potrebbe sembrare più evidente. Che ci fa un grande saggio nella via Emilia? Namkhai Norbu dice che «noi siamo uomini, l'uomo ha una sua esistenza individuale e la medicina soddisfa un bisogno individuale dell'uomo. Ecco il punto fondamentale per la comprensione della medicina tibetana. E per medicina non si intende soltanto un insieme di farmaci preparati con alcune erbe medicinali e qualche minerale, e neppure una semplice terapia medica. Per medicina si intende anche un insegnamento spirituale».

Tra i campi di grano che si sperdono oltre ai filari di pioppo della via Emilia, oltre ai suoi miti della velocità, queste parole hanno quasi una loro lentezza incongrua in un posto come questo. Però, tutte le distanze sono colmabili. Basta vederle, basta capirle. Il fatto è che questa scienza ha le sue radici nelle credenze e nelle tradizioni popolari che si rifanno addirittura allo sciamanesimo pre-buddhista e all'antica religione del Bon. Un medico tibetano quando fa una diagnosi ricerca i sintomi che segnalino affezioni del respiro o della bile, oppure dell'apatia. Controlla gli organi dei sensi, le secrezioni e le escrezioni. Ma poi le medicine hanno una composizione naturale, e sono prodotti di erbe: non c'è chimica. Perché la malattia viene considerata soprattutto «l'alterazione del processo spirituale di un individuo», come sottolinea Paolo Roberti di Sarsina, presidente dell'Associazione per la Medicina Centrata sulla Persona.
Il presupposto è che la maggior parte delle malattie della nostra epoca sono il risultato di stati mentali non equilibrati, di stili di vita scorretti e diete sbagliate. Ma se uno stato di squilibrio aiuta l'insorgere di un male, questo squilibrio è determinato da cause primarie (le emozioni distruttive: la rabbia, l'aggressività, la brama, l'odio, l'attaccamento, il desiderio, l'ignoranza, la pigrizia e la confusione mentale) e secondarie (la dieta sbagliata, le abitudini scorrette e fattori climatici stagionali). Le cure aiutano a intervenire su questi squilibri. Per questo, come sottolinea la dottoressa Nicolai, alla fine si può dire che la medicina tibetana «è profondamente collegata con la teoria e la pratica buddhista che sottolinea l'interdipendenza indivisibile della mente, del corpo e dell'energia vitale».

È un sistema di salute, spiega Roberti di Sarsina. «Quindi si occupa di tecniche del corpo, come lo Yantra Yoga, che è una disciplina che tende a rendere il nostro fisico più plastico, e sensibile alla sua capacità di immagazzinare energia attraverso metodi di respirazione, meditazione e profondo ascolto interiore».

In fondo, Namkhai Norbu esemplifica tutto questo. L'Aula Magna è piena. Ma il suo successo dev'essere la sconfitta di qualcos'altro. Secondo l'Eurispes, in Italia il 18,5% della popolazione, pari a 11 milioni, sceglie di curarsi con medicine non convenzionali: il fatto è che appena 5 anni fa erano 8 milioni (fonte Istat). Gli italiani che ricorrono all'omeopatia sono cresciuti del 65% nell'ultimo ventennio, con un più 6% solo nel 2009. E in Europa i pazienti che preferiscono la medicina non convenzionale sono già cento milioni, per un mercato di 1,09 miliardi di euro all'anno. È solo il mondo che sta cambiando o la saggezza di Norbu ci dice qualcosa di più?

mercoledì 8 settembre 2010

Persino il Financial Times...

Il Financial Times incorona Vendola:
"È il leader carismatico del centrosinistra"
Elogio al governatore dall quotidiano economico inglese
«Sull'energia ha conquistato la fiducia delle imprese»




Bagno di folla per il governatore alla festa del Pd a Torino (8 settembre 2010)
BARI - Il Financial Times, primo quotidiano economico anglosassone, promuove il governatore della Puglia, Nichi Vendola. E lo fa con un lungo articolo d'elogi per il suo operato. «Comunista, cattolico e gay dichiarato» è l’identikit tracciato dal giornale inglese definendolo, in questo periodo di instabilità politica, una «spina nel fianco» dell’attuale premier. Perché è l'alternativa più quotata presente all’opposizione di centrosinistra.

L'ANALISI - Infatti Vendola, continua il Financial Times, è il presidente con l’orecchino che scrive e pubblica poesie, pur avendo fondato un partito a parte, Sinistra Ecologia e Libertà, viene visto come il più quotato per una futura leadership nazionale, scavalcando Bersani del Pd. Questo perché, nonostante sia un comunista, è riuscito comunque ad attirare molti investitori nel settore delle energie rinnovabili che ora rappresentano il comparto più in crescita della regione Puglia tanto da essere definita «regione più attraente» in un’importante conferenza internazionale per l’energia solare.

Laura Migliaccio
08 settembre 2010

Forse c'è speranza, forse ora la possiamo osare...




I video degli interventi di Nichi Vendola e Rosy Bindi alla festa PD di Torino...:

http://www.youdem.tv/

martedì 7 settembre 2010

Controinformazione su Kossiga

COSSIGA 1 - MORETTI E IL FATTORE K

di Ferdinando Imposimato [ 03/09/2010]

fonte: www.lavocedellevoci.it



La ricerca della verita', senza amore di parte ne' odio, dovrebbe servire ad evitare il ripetersi di quei tragici eventi che hanno funestato per decenni il nostro disgraziato Paese, senza che i maggiori responsabili abbiano pagato.
Francesco Cossiga non fu affatto «un grande statista», come ha affermato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che con la sua dichiarazione ha dato l'impressione di essere vissuto negli ultimi quarant'anni in Scandinavia. Cossiga fu l'uomo delle trame occulte, della doppia, impossibile fedelta' alla Costituzione repubblicana e alla Loggia P2 di Gelli, della subordinazione della magistratura al potere esecutivo, della delegittimazione del Csm, della copertura delle trame nere. Ma Cossiga e' stato anche - l'ho scritto con Sandro Provvisionato nel libro Doveva morire, mai smentito dall'ex presidente della Repubblica - una “concausa” dell'uccisione di Aldo Moro. A quest'omicidio dette un contributo attivo, oltre che omissivo, in primis “bruciando” la scoperta della base in via Gradoli di Mario Moretti, carceriere di Moro, di cui informo' la stampa e non il procuratore della Repubblica di Roma. Al contrario, sarebbe stato doveroso non pubblicizzare quella scoperta per consentire alla Polizia di attendere il ritorno di Moretti e pedinarlo per risalire alla prigione di Moro e liberare l'ostaggio “manu militari”, senza alcun cedimento al ricatto delle BR.
E invece quella stessa mattina del 18 aprile 1978 Cossiga dispose la diffusione del falso comunicato numero 7 in cui si diceva che Moro era stato ucciso e il suo cadavere giaceva nel Lago della Duchessa. La redazione del falso comunicato - come accerto' una perizia tecnica della magistratu-ra - fu affidata dal generale Santovito a un uomo della Banda della Magliana, Antonio Chicchiarelli, che poi fu ucciso probabilmente da coloro che l'avevano manovrato.
Il ministro Cossiga (poi presidente del Consiglio e capo dello Stato), sostenne sempre, davanti alla Corte d'Assise di Roma e alla Commissione parlamentare sul caso Moro, che quel comunicato era stato diffuso dalle BR. E cio' disse contro la verita'. Cossiga ben sapeva che quel falso documento numero 7 aveva avuto la funzione di spingere le Brigate Rosse a uccidere Aldo Moro, come in realta' avvenne: lo statista, il cui sequestro nei piani dei terroristi doveva protrarsi per almeno sei mesi, a dimostrazione della potenza delle BR, venne ucciso nel giro di tre settimane.
«Moro in quei momenti era disperato e doveva senza dubbio fare ai suoi carcerieri rivelazioni importanti su uomini politici come Andreotti. E' stato allora che Cossiga e io ci siamo detti che era arrivato il momento di cominciare a mettere le Brigate Rosse con le spalle al muro. Abbandonare Aldo Moro e lasciare che morisse con le sue rivela-zioni... Sono stato io a preparare la manipolazione strategica che ha portato alla morte di Moro, allo scopo di stabilizzare la situazione italiana». Lo racconta Steve Pieczenik, chiamato a collaborare con l'unita' di crisi, in un'intervista al giornalista francese Emanuele Amara'. «Bisognava - continua -preparare l'opinione pubblica italiana ed europea. Abbiamo messo in campo un'operazione psicologica, consistita nel fare uscire un falso comunicato nel quale la morte di Moro era annunciata». Queste rivelazioni avrebbero scarso valore senza il sostegno di una documentazione accertata e depositata. Si tratta di tre documenti scritti da Pieczenik e trasmessi nel 1992 dal ministro dell'Interno Vincenzo Scotti alla Commissione stragi del coraggioso presidente Libero Gualtieri. Pieczenik, uomo del Dipartimento di Stato americano, elaboro' nelle tre relazioni (una delle quali fu letta e corretta da Cossiga), la strategia del controllo, durante i 55 giorni della prigionia, della stampa italiana, della magistratura e della famiglia Moro, che doveva essere isolata. Il piano, approvato da Francesco Cossiga, fu il preludio dell'assassinio di Aldo Moro.
Per anni, ignorando molti aspetti della tragica vicenda Moro che erano stati occultati ai magistrati inquirenti, io stesso ho creduto nella “favola” della linea della fermezza perseguita da Cossiga contro le Brigate rosse. In realta' si tratto' di una linea dell'inerzia volontaria e della vanificazione di tutte le occasioni che si presentarono per liberarlo. Cio' risulta in modo evidente da alcune relazioni dei membri del Comitato di crisi istituito da Cossiga. Nel libro, mai contestato da Cossiga, si sottolinea «il semplice e significativo fatto che per anni e anni i pubblici ministeri, i giudici istruttori, le varie Corti d'Assise e la Commissione Moro avevano cercato inutilmente di sapere cosa contenessero i documenti relativi a quei Comitati». E in nome di questa presunta ma inesistente linea della fermezza, anche io ritenni giusto che fosse sacrificata la vita di Moro alla sacralita' dello Stato repubblicano. Ma molti anni dopo il suo assassinio ho potuto leggere documenti sconvolgenti, accuratamente nascosti sotto il vergognoso scudo del segreto di Stato da Cossiga. Il quale di quei documenti nego' la esistenza davanti alla magistratura.
Nella vicenda Moro ci fu un premeditato immobilismo deciso dal Ministro Francesco Cossiga, che esautoro' la Procura di Roma e affido' i poteri investigativi ad un ufficio illegittimo istituito presso il Viminale; questo ufficio trascuro' ben otto occasioni per liberare Moro. Ne ricordo due: il mancato pedinamento del brigatista Teodoro Spadaccini, che aveva l'obbligo di firma al Commissariato San Lorenzo, gestiva la Renault rossa su cui sarebbe stato ucciso Moro e frequentava la base di via Gradoli. E la mancata perquisizione, ordinata dalla Procura Generale di Roma prima dell'assassinio di Moro, della tipografia di via Pio Foa' gestita da Enrico Triaca e frequentata da Moretti. Di quell'ordine e' stata posticipata la data, come sono state alterate le date di altri ordini di perquisizione, che non sono stati eseguiti prima dell'assassinio di Moro, ma dopo. Cio' risulta dai documenti riprodotti nel libro. Sarebbe stato agevole scoprire la prigione pedinando Spadaccini e Triaca, di cui si sapeva tutto.
Un'ultima notazione. In una lettera trovata nel 1990 in via Monte Nevoso e diretta a Zaccagnini, in un ultimo, disperato tentativo di salvarsi, Moro scrisse: «non ho mai pensato, anche per la feroce avversione di tutti i miei familiari, alla Presidenza della Repubblica». Voleva dire: «se usciro' vivo, non competero' con voi nella corsa al Quirinale». Al contrario, Cossiga nutriva profonde ambizioni per il Colle. Ne' devono indurre in errore le sue dimissioni da ministro dell'Interno. Pochi mesi dopo, nell'agosto del ‘79, ricevera' l'incarico di formare un governo di centrodestra, imbottito di massoni e piduisti. Il 24 giugno 1985 sara' eletto Presidente della Repubblica, occupando proprio quella poltrona che molti pensavano sarebbe spettata a Moro.

Parlare con la clarissa

Le suore di clausura aprono un loro sito
06/09/2010 15:16

Fonte: Corriere di Maremma 09/04/2010

SAN CASCIANO - Per i voti dati le suore di clausura non escono dal convento, ma ciò non confligge con la possibilità di usufruire della tecnologia e delle nuove forme di comunicazione: ecco così che le monache clarisse del convento La Croce di San Casciano Val di Pesa (Firenze) hanno aperto un sito internet: www.clarissesancasc.altervista.org. "Riconosciamo - spiega la badessa del monastero, suor Maria Fernanda Dima - l'importanza della comunicazione nel mondo di oggi che la cultura contemporanea ci offre e che la stessa Chiesa incoraggia ad usare, ovviamente nel rispetto dei ruoli e della missione che ogni istituto religioso svolge". Digitando l'indirizzo web si possono sfogliare diverse sezioni di un portale che illustra le caratteristiche del monastero, ma anche la dimensione spirituale vissuta dalle clarisse. E' possibile contattare le suore inviando messaggi di testo tramite l'area contatti.

Conosciamoli, questi nuovi "capitani coraggiosi"

LA PREVALENZA DEL BOCCHINO

di Andrea Cinquegrani [ 03/09/2010]



Dal legame di ferro con Paolo Cirino Pomicino - un asse tuttora formidabile - ai rapporti familiari con i Buontempo, passando per l'inchiesta romana sulla Tav fino alle performances del suo “Roma”, finanziata dallo Stato come coop, ma che invece e' una spa...
* * *
C'e' uno zampino che riporta tanto alla Dc e alla prima repubblica, in vari risvolti della nouvelle vague finiana, anche sotto il profilo “economico”. E fa rima con Pomicino».
E' una gola profonda del transaltlantico, che ne ha gia' viste e vissute parecchie, ad aprire questo inquietante squarcio politico, e su quel “grande centro” che tutti negano sdegnosamente, ma che nei fatti (e non solo odierni) prende sempre piu' corpo. Continua a raccontare: «Guarda caso sono campani i due capigruppo dei finiani, Italo Bocchino e Pasquale Viespoli. Guarda caso non nasce oggi ma e' in vita da quasi un quindicennio l'asse politico-economico che ha visto protagonisti l'ex ministro del bilancio andreottiano, Paolo Cirino Pomicino, e Bocchino. Ossia una fetta della vecchia Dc e una fetta dei colonnelli di An. E guarda caso Bocchino ha sposato Gabriella Buontempo, figlia del cavalier Eugenio. Un nome che vuol dire un tesoro. Altro che quello di Montecarlo. Andate a cercare nei paesi dell'est...».
Ricapitoliamo e decodifichiamo. Il suocero di Bocchino, Eugenio Buontempo, e' stato tra i primattori del post terremoto in Campania, mega appalti edili (spesso e volentieri in compagnia con i cavalieri siciliani Costanzo, Rendo e Graci) ma anche maxi infrastrutture, piu' tanti trasporti, via cielo (Aliblu'), via mare (l'ex Flotta Lauro ottenuta “a gratis” poco dopo il fallimento), via terra (Fs), grazie al generoso garofano di Claudio Signorile, leader psi della sinistra ferroviaria (tra i suoi esponenti di spicco anche Rocco Trane). Ottimi i rapporti di Buontempo con gli istituti di credito (in primis il BancoNapoli della munifica era Ventriglia, con crediti facili a go go) e i brasseur internazionali d'affari, uno su tutti Pierfrancesco Pacini Battaglia (hanno lavorato fianco a fianco per dragare i misterosi fondali di Ustica). Dopo il ciclone di Tangenopoli e un anno di latitanza all'estero, Buontempo e' stato beccato a Praga, meta' anni ‘90. Poi, il buen retiro nella splendida fattoria di Montalcino, confinante con un altro appezzamento d'oro, proprieta' di Sereno Freato, l'ex segretario particolare di Aldo Moro.

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E proprio negli stessi mesi finiscono altre latitanze “eccellenti” come quelle di Filippo Capece Minutolo (“cassiere” di Vincenzo Scotti, oggi sottosegretario agli Esteri), Aldo Molino (tra i registi dell'affaire Enimont, inquisito dal pool targato Antonio Di Pietro) e Vincenzo Maria Greco, le eminenze grigie (e veri forzieri) di Pomicino. Ingegnere idraulico, progettista e uomo ovunque del dopo terremoto, primattore nel maxi business dell'Alta Velocita', Greco e' stato - ed e' ancor oggi - l'alter ego di ‘O ministro. La sua consorte, Letizia Balsamo, e' sorella di uno dei costruttori baciati dagli appalti post sisma, Isidoro Balsamo. Il battesimo professionale, comunque, avviene alla Sorrentino Costruzioni Generali, vero trait d'union tra le imprese del mattone e del cemento con la Nco di Raffaele Cutolo prima e la Nuova famiglia made in Carmine Alfieri (oggi “inglobata” nel ventre dei Casalesi), poi. E i Sorrentino - dopo i grossi appalti per la realizzazione della Pozzuoli bis in seguito al “fasullo” bradisisma del 1983 - vendono a prezzo catastale un appartamento sulla collina di Posillipo a Pomicino (passato anche per le mani del finanziere d'assalto Nini' Grappone e del big dc Antonio Gava). Ottimi amici, i Sorrentino, del supercapo degli ispettori ministeriali (dal governo Prodi all'esecutivo Berlusconi) Arcibaldo Miller.
Dopo le disavventure - si fa per dire - post tangentopoli, sul finire degli anni ‘90 una nuova bufera rischia di abbattersi su Greco e C. Si tratta della maxi inchiesta avviata dalla procura di Roma (pm Pietro Saviotti, gip Otello Lupacchini) su una sfilza di appalti d'oro, a partire dalla stessa Tav fino alla realizzazione di centri residenziali, infrastrutture d'ogni tipo (porti, interporti, aeroporti, assi viari) e chi piu' ne ha piu' ne metta. Ne vien fuori uno spaccato sconvolgente, il marcato profilo di una Super Cricca, in combutta continua con la malavita organizzata (gia' all'epoca, Casalesi uber alles). E, guarda caso, fin da allora prende corpo, anche per via giudiziaria, l'asse fra truppe finiane e pomiciniani doc. Nella lunga lista di “arrestandi” firmata dal gip il 26 maggio 1999, infatti, spiccano i nomi dell'ex presidente della giunta regionale Antonio Rastrelli (An), Marcello Taglialatela (An, oggi fresco assessore all'urbanistica della Regione Campania), i vertici dell'impresa del cuore di Pomicino - l'Icla - ossia i fratelli Di Falco (Agostino, il timoniere, Sandro e Vittorio), l'altro big targato Icla (oggi al vertice di Metronapoli) Giannegidio Silva, il mattonaro parmense Paolo Pizzarotti (legato a filo doppio sia con Greco che con i Sorrentino), i vertici del Tesoro Vincenzo Chianese e della Banca di Roma Sergio De Nicolais.

L'INNOMINATOe#8200;BOCCHINO
Parecchi altri vip facevano capolino nei faldoni dell'inchiesta (poi finita nel rituale flop del porto capitolino delle nebbie), come l'ex vertice della Banca di Roma (ora al timone di Generali) Cesare Geronzi, il dominus del San Raffaele e grande amico del Cavaliere don Luigi Verze', l'ex re del grano (ucciso due anni fa in circostanze misteriose a Napoli) Franco Ambrosio, il ras di asfalto e sanita' in Molise Aldo Patriciello. Eccellenti anche gli “omissis”, con una significativa pista che porta dritto a Bocchino. Ecco cosa scrive Lupacchini a proposito dell'affare Inail: «L'unico parlamentare che appare direttamente a conoscenza dell'interesse del Di Falco sulla vicenda dei fondi Inail risulta - attraverso le conversazioni che intrattengono Di Falco Agostino, Di Falco Vittorio, Di Falco Sandro e Greco Vincenzo Maria - un deputato eletto nel collegio di Casal di Principe, che comunica gli esiti della discussione parlamentare direttamente all'imprenditore. Contestualmente l'imprenditore concorda un versamento di 100 milioni di lire a favore di una societa' di edizioni della quale il deputato e' presidente del consiglio di amministrazione e della quale la moglie di Di Falco Vittorio e' titolare di quote». Praticamente, il ritratto di Italo Bocchino.
Quartier generale a Pozzuoli per la famiglia Di Falco, in ottimi rapporti - da sempre - con un'altra storica dinasty flegrea, quella dei Cosenza, al vertice il costruttore ovunque Livio, partito col propellente del sisma e del bradisisma - colpo doppio - e oggi impegnato dell'arcimilionario business del mega porto turistico nell'ex area Sofer ad Arco Felice (in partnership, infatti, con Finmeccanica): la figlia di Livio, Giulia Cosenza, e' una finiana doc, componente di quella commissione ambiente della Camera che deve dar disco verde ai progetti di forte impatto ambientale. Compresi quelli paterni.
Ottimo incontrista, Bocchino, abile nell'avvertir puzza di bruciato e schivare il ciclone in arrivo. Come e' successo anche con il caso Romeo esploso due anni fa a Napoli, che ha portato alla ribalta delle cronache conversazioni piu' che imbarazzanti tra il patro'n della corazzata multiservizi partenopea di Alfredo Romeo (gia' protagonista della prima tangentopoli per le mazzette a mister centomila Alfredo Vito) e i due centristi in pectore, Bocchino e Francesco Rutelli. Altra inchiesta abortita e scordammoce ‘o passato.

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Avrebbe certo visto con favore la nascita e il decollo della Banca Popolare del Mediterraneo, Bocchino, se il suo animatore, Raffaele Cacciapuoti, non fosse sparito - forse col favor della calura ferragostana - con la cassa, una decina di milioni di euro. Si', perche' il plurilaureato (patacche) banchiere si era presentato due volte al voto con il centrodestra, maglietta repubblicana, a correre nel 2005 per le regionali. La sua stella polare? Italo Bocchino, candidato governatore nel duello (perso) con Antonio Bassolino. Magro il bottino per Cacciapuoti, 183 voti. Va peggio l'anno dopo, per le comunali: 48 voti, raccolti in prevalenza nel quartiere della Sanita', a ridosso di Forcella, roccaforte dei clan.
Per tirarsi su col morale, e darsi caso mai una botta vita, la famiglia Bocchino-Buontempo puo' comunque consolarsi con una sfilza di sigle che ruotano intorno a Retail Group, che conta su un marchio - Vyta, appunto - presente con i suoi megastore in molte stazioni italiane, a cominciare da Termini a Roma. A fondare la sigla madre, Giancarlo Buontempo, architetto e fratello di Gabriella, consorte di Italo. E fanno capolino due rampolli di casa Greco, Ludovico e Maria Grazia, figli di Vincenzo Maria (Ludovico, fra l'altro, e' partner di Filippo Capece Minutolo nella Piaggio Industries). «Ma la presenza piu' significativa al fianco dei Greco e dei Buontempo - sottolineano in ambienti economici della capitale - e' quella di Massimo Caputi, uno dei grand commis che ha lavorato sempre sotto traccia, dopo aver lasciato i riflettori di Sviluppo Italia. Ne vedremo ancora delle belle...».

Carta stracciata
Un pallino, la carta stampata, per Italo Bocchino. Condiviso con la moglie Gabriella Buontempo, in sella alla Edizioni del Sole fin da ragazzina: e' figlia del cavalier Eugenio, per alcuni anni editore del quotidiano Roma: a bordo, allora, soprattutto imprenditori del ramo monnezza, per via della privatizzazione 1990 voluta dal psi Antonio Cigliano, il cui figlio Corrado, oggi, rappresenta i “nuovi” gestori veneti del business NU partenopeo.
Ha provato anche a riesumare l'Indipendente, il numero due (due?) di Gianfranco Fini, affidandolo alle cure di Antonio Galdo, per anni direttore del mensile pomiciniano Itinerario. Flop. Eppure, tra le firme spiccava quella di Maria Grazia Greco. Il cui nome, del resto, fa capolino anche nel team di un'altra creatura rilevata dal vulcanico Bocchino, E polis, dopo la prima gestione targata Nichi Grauso e la breve parentesi made in Marcello Dell'Utri. Del resto, Vincenzo Maria Greco ha un nipotino che conta nei media: l'ex numero uno del Mattino e attuale direttore del TG2 Mario Orfeo. Resta comunque il Roma - storica testata partenopea un tempo vanto e gloria del sindaco monarchico di Napoli Achille Lauro - la creatura piu' cara a Bocchino: forse perche' anche lui si sente ‘o comandante. A bordo della cooperativa che gestisce il giornale, nel corso degli anni, Italo ha arruolato una ciurma di camerati (ora sparsi tra Pdl e Fli) che ancor oggi risultano titolari di quote societarie: Ignazio La Russa, Gianfranco Anedda, Antonio Pezzella, Domenico Nania, Ugo Martinat, Altero Matteoli, per fare solo alcuni nomi. Nell'arcipelago azionario spiccano soprattutto parecchie cliniche e case di cura private, localizzate prevalentemente nel casertano (del resto storico avamposto elettorale dell'onorevole), ma anche nell'avellinese, come ad esempio Villa dei Platani spa e Montevergine spa che fanno capo al gruppo sanitario Malzoni (lo stesso che, secondo alcune fonti, fa gola anche al “nemico” di Italo, il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino).
Una consistente fetta del Roma e' alla luce del sole, intestata a Gabriella Buontempo (1 milione 184 mila euro). Un'altra e' nell'ombra, coperta da comode fiduciarie (Compagnia Fiduciaria Nazionale spa, 50 mila euro; Siref Fiduciaria, 45 mila euro). Una terza, ancora, fa capo alla Quattro Novembre, srl che a sua volta riporta ad Alessandro Fiorentino, Maria Concetta Testini e Augusto Celeti. Raccontano in Confindustria: «Celeti e' stato sempre legato a Vincenzo Maria Greco. E chissa' che dietro le fiduciarie e alcuni comodi prestanome non si nascanda, ancora una volta, l'uomo di ‘O ministro...». La Edizioni del Roma e' una spa. Sede a Roma, in corso Vittorio Emanuele 21. Nella gerenza, invece, figura ancora la cooperativa. In grado di racimolare i fondi stanziati dal dipartimento editoria della presidenza del Consiglio...

Un lucido giornalista

BERSANI, FRA' VELTRONI E LA PAURA MATTA DI GOVERNARE

di Andrea Cinquegrani [ 03/09/2010]
Fonte: www.lavocedellevoci.it



L'ultima viene forse dal Tibet, dove fra' Walter sta meditando sui destini del mondo, con un occhio pero' attento alle sorti del tricolore. «Scrivo al mio Paese e vi dico cosa farei». E con modestia tutta francescana, aggiunge: «in fondo due anni fa quasi 14 milioni di persone fecero una croce sul mio nome». Con tutta probabilita' per eliminarlo, cancellarlo dallo scenario politico, una sorte di croce scacciavampiri. E invece no, lui, Veltroni, defilatosi per un po', torna alla carica, a tutta pagina sul Corsera, con le sue filosofie da giovane marmotta o da buon yankee in attesa del “si' buana” dallo schiavo nero di turno. E non vogliono togliersi dai coglioni, i burosauri che hanno massacrato la sinistra a martellate (la falce non esisteva da un pezzo), i D'Alema che quando governano non si sognano neanche per un attimo di fare la legge sul conflitto d'interessi di cui ancora osano parlare, i Bersani buoni per un piatto di tortelli e p(P)orta a p(P)orta, i gesuiti alla Franceschini e Bindi. Sono loro, i finti sinistri, gli inciucisti di professione, gli avversari patacca, i sottobanchisti, a tenere ogni giorno in vita il Cavaliere, che potrebbe governare - fosse per loro - altri cento anni. Inchiodati come i Breznev d'un tempo agli scranni dorati, ai 20 mila euro e passa, piu' mari di benefit e prebende varie (e Walter pensieroso osserva: «si va incontro a suggestioni di democrazia autoritaria proprie del sistema russo o cinese»...).
Ora la danza di fine estate: primarie si', primarie no, oddio il voto, Costituente antiBerlusconi, nessuna accozzaglia antiPremier. Poche idee, ma soprattutto sciocche, confuse, perfetti autogol per far capire agli italiani che non esiste alcuna alternativa al diavolo Silvio. Ma dove lo trovi un segretario del maggior partito d'opposizione che ha un terrore pazzo del voto? Anche in Groenlandia chi non governa cerca, o progetta, di farlo. Da noi no.
In questa bolgia masochista (ma fino a un certo punto: se si va al voto se ne tornano tutti a casa senza certezze per il futuro e i danari rischiano d'andare in fumo), in un simile deserto che il Sahara sembra un campo da golf inglese, forse resta solo una chance, Nichi Vendola, che parla “ancora” un linguaggio di sinistra (non inorridite!), e a quanto pare individua obiettivi concreti e strategie praticabili. Almeno sperimentabili. Forse, l'unica ancora di salvezza sono primarie a tutto campo (per riportare in vita un po' di “proporzionale” follemente ucciso dai killer veltronian-dalemiani), non solo per il candidato leader-premier (del centrosinistra), ma anche per tutti gli altri da presentare in lista. Insomma, i cittadini-elettori devono reimpossessarsi del diritto di scegliere chi li dovra' governare (come con saggezza Ferdinando Imposimato illustra nel suo intervento), trovando la forza (organizzativa) di cacciare i farisei (in blocco tutti gli attuali vertici Pd e dintorni) dal tempio. Via. Per sempre. Si cambia pagina.
Farisei allineati e coperti nei partiti e nei media (a cominciare da Napolitano) per commemorare “il grande statista” Cossiga, «l'uomo che fece i capelli bianchi in un giorno dopo la morte dell'amico Moro». Attraverso il libro “Doveva Morire” di Imposimato e Sandro Provvisionato (che per la Voce ricostruisce le tappe della carriera di Kossiga), sappiamo da un paio d'anni che l'allora ministro degli Interni fu protagonista della “non liberazione”. Nell'inchiesta di questo numero della Voce torniamo a via Gradoli, in quel covo delle Br (oggi crocevia di coca e trans), per scoprire che tutto e' stato sempre gestito dai Servizi. Quindi dagli Interni. Da K. Siamo - come allora - al Kaos istituzionale, con un Paese alla deriva. Vero Walter?

Protezione Civile e P3

RACCONTIAMO COME BERLUSCONI HA USATO LA PROTEZIONE CIVILE PER TENTARE IL COLPO DI STATO

pubblicata da PARTIGIANI DEL TERZO MILLENNIO il giorno lunedì 6 settembre 2010

Nel 1992 una legge stabilisce che la Protezione Civile nel caso di emergenze possa agire velocemente e, se necessario, scavalcare le procedure correnti. Di questa legge nel 2001 si accorgono gli esperti che lavorano per Berlusconi, e che cosa si inventano? Alla parola 'emergenza', aggiungono la parola 'grandi eventi'. Perchè lo fanno? Perchè se l'emergenza permette di scavalcare la legge, e se i grandi eventi sono come l'emergenza, allora anch'essi permettono di aggirare la legge. Ma cosa intende Berlusconi per emergenza e grandi eventi? Un grande evento è ciò che il Governo decide essere un grande evento! Siccome lo stato di emergenza crea le condizioni per fare delle ordinanze e per agevolare questi poteri dittatorieli assoluti, è il Governo a stabilire cosa sia emergenza. Non sono solo i grandi eventi: se il Governo decide che è emergenza qualsiasi cosa, ad esempio il traffico nelle grandi città, può aggirare le leggi in nome di questa ordinanza.



Una volta dichiarato lo stato di emergenza, Guido Bertolaso (direttore del dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio) su proposta di Silvio Berlusconi, firma un'ordinanza nella quale dichiara che 'tizio' è nominato commissario straordinario in un determinato territorio per risolvere una determinata emergenza, il quale può agire in deroga a queste norme.



Quest'ordinanza c'è sempre stata, ma il problema consiste nel fatto che nessun presidente del consiglio l'ha mai utilizzata così sfacciatamente come Berlusconi stà facendo, nessuno mai ha giocato sulla pelle dei morti, nessuno mai ha giocato e speculato sulle emergenze gravi.Sono infinite le possibilità della nuova Protezione Civile voluta da Berlusconi, come per esempio trasformare l'emergenza rifiuti in una gigantesca operazione di propaganda (sono sotto gli occhi di tutti le immagini di Berlusconi con secchio e paletta a Napoli).Con la nuova Protezione Civile è possibile ad esempio bruciare negli inceneritori, anche quello che per legge non si può bruciare perchè tossico e perchè va a inquinare irreparabilmente terreni e falde acquifere e quindi è possibile far diventare legale ciò che è illegale.Questo ha fatto sì che diventasse reato punibile con il carcere da 1 a 5 anni, il manifestare pacificamente contro le decisioni della Protezione Civile.



Forse non tutti sanno che in Italia le grandi manifestazioni, anche sportive come i Mondiali di Nuoto o i Giochi del Mediterraneo, sono gestite dalla Protezione Civile, che può elergire centinaia di milioni di euro per la creazione di strutture non solo pubbliche ma anche private. Per i Mondiali di nuoto ad esempio, il commissario straordinario Angelo Balducci, può indirizzare finanziamenti pubblici a favore di suo figlio che viene autorizzato a costruire in piena zona esondazione Tevere.Quando il tribunale dà ragione ai comitati cittadini che lamentano il fatto che molte costruzioni non sono di pubblico utilizzo, Berlusconi risponde infilando due righe in un decreto in cui all 'pubblico' si aggiunge 'ed anche privato'. Il 30 giugno Berlusconi decreta una nuova ordinanza nella quale si equipara l'ente pubblico al privato, cosa questa aberrante perchè in questo modo soldi pubblici vanno a rimpinguare le tasche dei privati.Facciamo notare che in questi ultimi anni i decreti del Presidente del Consiglio a favore della Protezione Civile sono praticamente raddoppiati.



Da quando è stata modificata la legge, Berlusconi ha dichiarato ben 35 GRANDI EVENTI, di questi più della metà sono eventi religiosi:



- Quarto centenario della nascita di S.Giuseppe da Copertino- Canonizzazione del Beato Josèmaira Escrivà, fondatore dell'Opus Dei- Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta- Celebrazione dell'anno giubilare Paolino- Il 24 congresso Eucaristico Nazionale- L'incontro dei giovani italiani- Celebrazione del congresso europeo delle famiglie numerose (?)- Visita pastorale di Benedetto XVI a Brindisi- Visita pastorale di Benedetto XVI a Savona- Visita pastorale di Benedetto XVI a Cagliari



Tutti questi "GRANDI" eventi elencati e tutto ciò che essi comportano, dai viaggi alle cene, dai buffet alle infrastrutture (palchi), sono gentilmente offerti dalla Protezione Civile, e indovinate un po' la Protezione Civile da dove prende i soldi? DA NOI!! NOI ONESTI CITTADINI CHE PAGHIAMO LE TASSE!!!



Il braccio destro economico di questo governo è la Protezione Civile: tutto passa per le mani della protezione civile e la Protezione Civile può fare tutto, anche quello che normalmente richiederebbe delle procedure lunge e legali.Ecco perchè la Protezione Civile può occuparsi di edilizia, come nel caso della costruzione delle new town di L'Aquila (i mostri di cemento), potendole edificare anche la dove era vietato costruire per legge, e può anche permettersi di sperimentare i costosissimi progetti di una fondazione privata a cui è collegata, questo spiega come mai, a L'Aquila per la costruzione dei nuovi alloggi per gli sfollati, si sia raggiunta la cifra costruttiva di 2800 euro a metro quadro, edificando case ben oltre le necessità che il piano antisismico richiedeva.Piani ammortizzati sopra il terreno, sui quali si possono costruire addirittura grattacieli, colonne antisismiche e case antisismiche. Dalla serie "pago io non ci facciamo mancar nulla!"



Si svela così il piano di Berlusconi che è dunque quello di ridurre drasticamente i controlli democratici sugli investimenti pubblici e privati. Si serve del successo d'immagine della Protezione Civile per tentare il passo decisivo: TRASFORMARE LA PROTEZIONE CIVILE IN UNA SOCIETA' PER AZIONI, così Berlusconi stesso sarebbe in grado di gestire tutto il denaro pubblico che vuole attraverso una struttura che regoli il consiglio di amministrazione scelto da lui stesso e di cui lui sarebbe il presidente.In pratica senza modificare la costituzione reale il cavaliere sta tentando di modificare la costituzione materiale di questo paese.



Quasi avesse sentore di ciò che stava per accadere, non appena i suoi avvocati riuscirono a far passare la legge sull'immunità delle cariche dello stato (lodo Alfano), Berlusconi tentò anche di promuove Bertolaso ministro, garantendogli così il legittimo impedimento.Al suo massimo storico di popolarità, Berlusconi era ad un passo dal realizzare il suo sogno, gestire il paese come una delle sue aziende (P3), ma proprio in quel momento, intercettazioni e scandali sugli appalti e sulle commissioni edilizie fecero implodere il suo progetto facendolo vertiginosamente ripiombare nella crisi di immagine alla quale era sino a 5 minuti prima della scossa di terremoto del 6 aprile 2009.Da queste intercettazioni uscirà che la criminilatà organizzata, mafia, 'ndrangheta, imprenditori corrotti e politici usavano la Protezione Civile per compiere il malaffare e lo stesso Bertolaso aveva "appaltato" i lavori del primo sito, la Maddalena, del G8 a suo cognato.Bertolaso viene indagato per corruzione ed il suo ex numero due per corruzione e per prostituzione.



Il resto è storia dei nostri giorni, come è storia dei nostri giorni il film DRAQUILA, da cui abbiamo estrapolato quanto sopra scritto, ed è storia dei nostri giorni il video che abbiamo girato noi stessi in prima persona a L'Aquila, ed è storia dei nostri giorni il decadimento morale e politico di un despota che ha tentato fino all'ultimo di emogenizzare il nostro paese.Se rileggete tutto quanto sopra scritto, se già non vi si sono mostrati gli ingranaggi di questo tremendo e pericolosissimo macchinario politico, vi renderete conto che, quanto provato a fare con l'ausilo della Protezione Civile, e cioè il controllo di una democrazia, collima con la nascita della loggia massonica P3, e collima con un vero e proprio colpo di stato... SILENZIOSO!

lunedì 6 settembre 2010

Riprendiamoci la salute!



Epidemia di influenza suina, fra allarmi, sospetti ed alcuni precedenti storici
fonte: Facebook, "Cogito ergo sum"



Nella foto potete vedere il presidente americano Gerald Ford che si fa fotografare mentre "viene vaccinato" contro l'influenza ; foto realizzata e divulgata con ogni mezzo per sponsorizzare la campagna di vaccinazione di massa del 1976, decisa dal governo statunitense col pretesto della paura che si abbattesse sulla nazione una terribile epidemia simile a quella del 1918, la famosa "Spagnola".



In realtà tutto era cominciato con un unico caso veramente grave, quello di un militare di stanza a Fort Dix (New Jersey), colpito una polmonite fulminante attribuita ad un virus simile a quello dell'influenza suina. Ebbene sì, un unico caso mortale fu il pretesto ufficiale per una campagna di vaccinazione di massa che causò tanti danni da dovere essere sospesa dopo tre mesi. C'è quindi da chiedersi se realmente il presidente USA ai tempi si sia fatto iniettare un vaccino sperimentale preparato in fretta per un lancio pubblicitario; personalmente ritengo che i presidenti USA siano al corrente delle pericolosità dei vaccini e che si tengano alla larga soprattutto da quelli sperimentali (vedi la sindrome del golfo).



Come trovo scritto in un articolo su tale questione pubblicato sul blog l'orizzonte degli eventi



Si propende per mettere a punto il vaccino il più presto possibile, anche contro il parere di diversi ricercatori. Gerald Ford è in campagna elettorale e se riuscisse a diventare il candidato che ha salvato un popolo da una pandemia la rielezione sarebbe sicura.



(...) E' noto che tra le reazioni avverse a molti vaccini vi sono sindromi neurologiche anche gravi, provocate pare da uno scompenso del sistema immunitario. Nel 1976, a seguito della campagna di vaccinazione contro la paventata pandemia di influenza suina, negli Stati Uniti si ebbero almeno 535 casi di Sindrome di Guillain-Barre, una grave forma di paralisi periferica, 23 dei quali mortali. Un bilancio ben più pesante di quello della malattia che doveva combattere.


Le autorità furono accusate di aver nascosto il rischio di insorgenza della sindrome di Guillain-Barre nonostante pervenissero le notizie di sempre nuovi casi intervenuti dopo la vaccinazione. Il programma fu annullato, mentre iniziavano ad arrivare le richieste di risarcimento. La pandemia, per fortuna, non si verificò. (...)


Questo episodio è passato alla storia come il grande fiasco della vaccinazione di massa del 1976.



La stessa storia, con tanto di registrazioni audio e video dell'epoca, è stata raccontata in una puntata di report, di cui potete leggere la trascrizione a questo link, che vi consiglio caldamente di leggere perché sono molto importanti i legami fra quanto raccontato sull'epidemia del 1976, la recente epidemia dell'aviaria, gli interessi delle case farmaceutiche, i legami fra case farmaceutiche e membri del governo USA, il business del Tamiflu prodotto farmaceutico contro l'aviaria che si dice sia utile pure contro questa recentissima forma di influenza suina che stia mietendo molte vittime in Messico. Questa però è una menzogna clamorosa, dal momento che l'incubazione dell'influenza suina risulta essere di 4-6 giorni mentre ROCHE consiglia l’assunzione del Tamiflu nelle prime 48 ore di contrazione del virus, pena l’inefficacia totale (vedi questo articolo di approfondimento).



Nel frattempo arrivano le dichiarazioni ufficiali, ed in particolare quelle di Giorgio Palù - presidente della società italiana di virologia e presidente vicario dell'European Society for Virology (Esv, guarda caso una società sorta proprio in questi giorni!) :



«Sembra si tratti del ceppo H1N1, dello stesso sottotipo che ha prodotto la Spagnola, anche se non è lo stesso virus. Lo hanno giá sequenziato: è un virus riassortante, che ha alcune sequenze genomiche aviarie, alcune del suino e alcune dell'uomo (...) La buona notizia é che sembra sia sensibile ai farmaci antivirali, all'oseltamivir (Tamiflu). Qualora sorgesse il rischio di diffusione abbiamo farmaci utili a combatterlo efficacemente».



Quindi stiamo tranquilli: tale virus sarebbe risultato di una sorta di "contaminazione naturale" di almeno 3 tipi differenti di virus tipici di altrettante specie animali (tutto normale vero?), ma per combatterlo sarebbe valido il già citato Tamiflu (sento già il tintinnio dei soldini che entrano nelle tasche dei manager dell'azienda Roche che lo produce) ... a me però suona un po' strano, sa un po' troppo di agente di guerra biologica, ovvero di agente infettivo creato in laboratorio, la storia insegna che non sarebbe il primo caso. E poi come fare a credere ad un illustre virologo che difende l'indifendibile Tamiflu?



Credo sia proprio il caso di riportare quanto scritto il 13 novembre 2006 dalla stessa azienda Roche che produce il farmaco, in una comunicazione riservata alla FDA statuntense: L’assunzione di TAMIFLU è associata a casi di sintomi neurologici e del comportamento che possono comprendere eventi quali, allucinazioni, delirio e comportamento anormale, con conseguente esito mortale. Siamo in possesso di rapporti postmarketing (principalmente dal Giappone) di casi di delirio e comportamento anormale, che conducono a autolesionismo in alcuni casi con esito mortale in pazienti con influenza che stavano ricevendo TAMIFLU.



Ed è il caso anche di riportare qui sotto alcune righe da questo articolo del blog di Franz (che ha dedicato di recente diversi articoli alla questione dell'influenza suina evidenziando anche alcune stranezze) sul Tamiflu e sulla sua sostanziale inutilità:



Iniziamo con lo studio pubblicato dall’università di Birmingham, che si trova a questo indirizzo. E’ un po’ lunghetto e vi risparmio la fatica: alla fine conclude che il Tamiflu potrebbe anche non servire a niente.

L’ipotesi si avvalora con questo articolo di Enrico Moriconi, che a sua volta ne cita uno pubblicato sul Manifesto nel 2006. Anche qui un po’ lunghetto, in sintesi spiega come ai tempi dell’aviaria questo farmaco fosse già considerato un flop dalla stessa Roche, la casa produttrice, e di come un certo Donald Rumsfeld abbia guadagnato un fottio di dollari essendo un azionista della società che per prima aveva sintetizzato l’antivirale di base del Tamiflu, facendo partire la paranoia dell’utilità del farmaco.



Per finire, si trova su Wikipedia la traduzione dello studio Cochrane, al termine del quale si evince nettamente che il Tamiflu… non serve a niente.



Insomma, un farmaco perdente in partenza, che ha provocato qualche morto e qualche casino, anche se principalmente in Giappone (dove ne ingurgitano a palate).



Un farmaco che quando è efficace accorcia in media la durata dell’influenza di si e no 30 ore, e che è stato accatastato in quantità esorbitanti grazie a qualcuno (Rumsfeld) che ha deciso unilateralmente che poteva servire a qualcosa, quando tutti gli altri gli dicevano che era utile quanto una buona tazza di brodo caldo (ovviamente non di pollo o maiale).



Però, nonostante tutta ’sta gente che dice che non serve a un bel niente, casualmente da due giorni a questa parte se ne parla sempre di più.



Bene, guarda chi si ritrova dietro questa faccenda del Tamiflu, Donald Rumsfeld, distintosi per avere fatto approvare il velenoso aspartame dalla F.D.A.! A questo punto i sospetti che dietro questa improvvisa e mortale epidemia ci sia qualcosa di marcio, molto marcio sono fin troppi, forse da collegarsi con quanto già tristemente predetto nell'ultima parte del mio dossier sulle scie chimiche:

Segnalo anche l’ipotesi che con le scie chimiche vengano diffusi intenzionalmente agenti infettivi che servano in un prossimo futuro a giustificare una campagna di vaccinazione; quest’ultima potrebbe essere finalizzata all’inoculazione occulta di qualcosa che è peggio della malattia che si pretende di prevenire (liquido geneticamente ricombinante? microbi patogeni nel vaccino? microchip miniaturizzati iniettati col vaccino?). È il caso di stare all’erta.

... e se non avete letto ancora niente, leggete questi scottanti documenti tradotti dall'inglese, altre notizie prossimamente sui blog dei miei amici Luka e Alice che a breve pubblicheranno un articolo sulla questione, nonchè all'altro articolo appena pubblicato:

l'influenza suina, il Tamiflu e l'esercito italiano.

Aggiornamento: é disponibile adesso un dossier sull'influenza suina e sul pericolosissimo vaccino al mercurio ed allo squalene che vogliono inocularci, mentre sulla cosiddetta epidemia del 1976 potete leggere anche quanto scritto nell'articolo

Influenza suina, numeri gonfiati, sintomi generici e test inattendibili




Pubblicato da corrado

Pane al pane, basta con i trasformismi beceri

Fli/ Fava (Sel): Pdl non esiste, voto è atto di verità e decenza
Tutto come previsto, Fini resta a destra come era comprensibile

Il comizio di Gianfranco Fini alla Festa del Tricolore di Mirabello non ha aggiunto alcuna novità secondo Claudio Fava, coordinatore della segreteria nazionale di Sinistra Ecologia Libertà. Ora l'unico atto di "verità e decenza" sarebbe quelle delle elezioni anticipate. "Tutto come previsto - commenta in una nota Fava al termine del comizio del presidente della Camera -: il Pdl non esiste più, Fini resta a destra come era comprensibile, l'attuale Parlamento è sempre più ingovernabile". Adesso, continua "il voto sarebbe un atto di verità e di decenza politica".

domenica 5 settembre 2010

Le frasi più belle del socialismo



tratto dalla relativa pagina su Facebook...

Io sono comunista Perché non vedo una economia migliore nel mondo che il comunismo. Io sono comunista Perché soffro nel vedere le persone soffrire. Io sono comunista Perché credo fermamente nell’utopia d’una società giusta. Io sono comunista Perché ognuno deve avere ciò di cui ha bisogno e dare ciò che può. Io sono comunista Perché credo fermamente che la felicità dell’uomo sia nella solidarietà. Io sono comunista Perché credo che tutte le persone abbiano diritto a una casa, alla salute, all’istruzione, ad un lavoro dignitoso, alla pensione. Io sono comunista Perché non credo in nessun dio. Io sono comunista Perché nessuno ha ancora trovato un’idea migliore. Io sono comunista Perché credo negli esseri umani. Io sono comunista Perché spero che un giorno tutta l’umanità sia comunista. Io sono comunista Perché molte delle persone migliori del mondo erano e sono comuniste. Io sono comunista Perché detesto l’ipocrisia e amo la verità. Io sono comunista Perché non c’è nessuna distinzione tra me e gli altri. Io sono comunista Perché sono contro il libero mercato. Io sono comunista Perché desidero lottare tutta la vita per il bene dell’umanità. Io sono comunista Perché il popolo unito non sarà mai vinto. Io sono comunista Perché si può sbagliare, ma non fino al punto di essere capitalista. Io sono comunista Perché amo la vita e lotto al suo fianco. Io sono comunista Perché troppe poche persone sono comuniste. Io sono comunista Perché c’è chi dice di essere comunista e non lo è. Io sono comunista Perché lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo esiste perché non c’è il comunismo. Io sono comunista Perché la mia mente e il mio cuore sono comunisti. Io sono comunista Perché mi critico tutti i giorni. Io sono comunista Perché la cooperazione tra i popoli è l’unica via di pace tra gli uomini. Io sono comunista Perché la responsabilità di tanta miseria nell’umanità è di tutti coloro che non sono comunisti. Io sono comunista Perché non voglio potere personale, voglio il potere del popolo. Io sono comunista Perché nessuno è mai riuscito a convincermi di non esserlo.

(Nazim Hikmet)






Nazim Hikmet


Nazim Hikmet nasce a Salonicco nel 1902. È amico di Neruda, allievo di Majakovkij. È capace di ridere e piangere, di amare, di soffrire e di cantare. E cantava - racconta Neruda - prima piano e poi sempre più forte, a squarciagola, per vincere la sua debolezza e rispondere ai suoi torturatori. Cantava in mezzo agli escrementi delle latrine, dove lo avevano costretto a stare dopo averlo fatto a camminare fino all'esaurimento delle forze. Oppositore del regime di Kemal Ataturk, è condannato a 28 anni di carcere (1938) con l'accusa di incitamento alla ribellione perché ai cadetti della marina, che amano i suoi versi, piace leggere l'"Epopea di Sherok Bedrettin", il poema sulla ribellione dei contadini del 1500 contro l'impero ottomano.

Per la sua liberazione, nel '49 firmano a Parigi, insieme a tanti altri, Sartre, Picasso e Robeson. Per la libertà si sottopone a uno sciopero della fame di 18 giorni, nonostante il cuore malato. Esce dal carcere in seguito ad un'amnistia generale. Anche da libero è perseguitato: due tentativi di ucciderlo e il servizio militare a 50 anni, malato. Privato della cittadinanza turca, deve rifugiarsi all'estero, accolto con affetto ovunque; solo gli Stati Uniti gli negano il visto. Muore esule a Mosca nel 1963.

La lezione del Dalai Lama




Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente in tale maniera che non riescono a vivere né il presente né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto. Dalai Lama

La lucidità di Rita




Di quel che dice fini, mi importa meno di una mazza


pubblicata da Rita Pani il giorno domenica 5 settembre 2010 alle ore 17.11.




Ho 46 anni, non sono certo decrepita e pure come i vecchi, tendo a ricordare. Ricordo una volta, per esempio, in cui quel fascista d’almirante pretese di affacciarsi allo stesso balcone da cui si affacciò mussolini per parlare ai quattro stronzi che volevano ascoltarlo. Son passati una trentina d’anni e ancora ricordo che noi eravamo molti, e che lui se ne tornò nella fogna dalla quale pretendeva di uscire, senza parlare. C’era tutto il partito comunista, c’erano persino cittadini per bene a cui forse più che a noi bruciava ancora la memoria di una città nata sulla schiavitù, per volere di un pazzo criminale. C’erano i carabinieri, che senza troppa convinzione alla fine ci dispersero senza violenza o manganelli. C’era la coscienza civile.



Trent’anni sono una caccola di tempo, e forse ero una caccola anche io, ma ricordo quella bella soddisfazione d’aver partecipato a cacciare un fascista. Nessuno osò mai chiamarci squadristi (che poi sono fascisti) nessuno ci insultò.

Con quest’animo leggo in giro l’attesa per il discorso di fini, che trenta anni fa sedeva alla destra di suo padre, il repubblichino almirante, il fascista bastardo. L’attesa non dei suoi, ma di tutti, persino di chi “è andato a votare col naso turato”, quindi tutti noi popolo senziente. E con lo stesso animo ho sopportato di leggere appelli alla morbidezza, al compromesso, all’unità con i fascisti allo scopo di liberarsi del tizio criminale, che arrivavano da quella cosa amorfa che dovrebbe rappresentare il centro sinistra, fatto di ex compagni e da democristiani ripuliti.

È in questi casi che guardo con sospetto alla giovinezza, alla poca curiosità che spesso l’accompagna, che non permette di sapere chi siano i bastardi criminali sui quali si posa la speranza.



Da quando sono stati sdoganati, i fascisti fanno di tanto in tanto una doccia, e si mostrano presentabili e quasi profumati. Solo la conoscenza potrebbe dare l’esatta portata del loro olezzo. Spero di risparmiarmi i punti di contatto tra il pensiero veramente libero e democratico, e un discorso propagandistico di chi già da tempo, con meticolosità ha ripreso a lucidare gli stivali. Perché è esattamente questo che sta facendo fini: si prepara.

Spero che ad ogni frase e in ogni momento, ci si possa ricordare dell’alleanza affaristica con un criminale, della loro collusione, della loro sporcizia morale, dell’ennesima doccia per ripulirsi dalla merda berlusconiana che li ha ricoperti in poco meno di due anni, da quando hanno tradito persino il loro pensiero (deviato) per entrare a far parte del consiglio d’amministrazione della più grande impresa del re: lo stato.

Troppo comodo ripulirsi una volta ancora ed esporre manifesti tricolore inneggianti a Saviano, dopo essere stati sul palco di chi trovava nella mafia i propri eroi. Troppo comodo profumarsi, dopo essere stati complici della stesura di leggi a favore del re. Ancora più vile abbondare col profumo dopo aver partecipato alla devastazione di un intero paese, per erigersi a paladini di un popolo che forse non ha nemmeno ben compreso in che catastrofica direzione sta andando.



Se ormai qualcuno ha scordato gli ultimi trent’anni, spero sia ancora in grado di ricordare gli ultimi due, e non attendersi nulla da quella vipera fascista, che – faccio una previsione – resterà fedele al suo disegno, promettendo tutto e nulla, instaurando una nuova sfida a due, fatta di numeri e di probabilità, di propaganda e populismo. Minacciando cadute e tenendo mani al nemico.

A me di quel che dirà fini non importa, io sono andata a votare col naso turato e una volta ho persino votato per la coalizione che sosteneva Prodi, ma per votare un fascista oltre al naso turato dovrò avere l’encefalogramma piatto e un’attestazione di morte cerebrale, e non è nemmeno detto che poi lo voterei; probabilmente farei scheda nulla.



Resto ferma nella mia convinzione di sempre: l’unico fascista buono è quello morto.

Rita Pani (APOLIDE)

sabato 4 settembre 2010

Che il bastardo piduista tratti la resa!

Morire democristiani? Non sapevamo sarebbe stata un'utopia! Passeremo dal governo di una destra mafiosa e piduista a quello di lottizzatori ex-fascisti, già in cabina di regìa al G8 di Genova...


Il Cavaliere: "Una condanna è la mia fine"

Fini: non daremo pretesti per rompere
Domani a Mirabello, davanti a 10 mila militanti, il presidente della Camera lancia il suo manifesto politico. E intanto prepara il partito. Il Cavaliere pensa a un gruppo parlamentare "ponte" per i moderati finiani
di FRANCESCO BEI

ROMA - A 24 ore dal discorso di Gianfranco Fini a Mirabello, la vigilia trascorre con i due eserciti che si scrutano in attesa dell'ordine di attacco. Silvio Berlusconi è rimasto chiuso ad Arcore tutto il giorno, impegnato con Letta a risolvere la grana del nuovo ministro dello sviluppo ma aggiornato continuamente sulle mosse (vere o presunte) del suo antagonista di Montecitorio. Aspettando magari che mette un piede in fallo - per esempio annunciando la nascita del nuovo partito - per addossargli la responsabilità della rottura. E tuttavia il gioco è talmente scoperto che Fini, spiegano i suoi, si terrà ben lontano dalla trappola. Ma a Berlusconi preme chiarire in fretta la situazione, c'è la magistratura che lo insegue, non può aspettare di farsi "logorare" dal presidente della Camera. "Fini e i pm - si è sfogato due giorni fa a palazzo Grazioli - mi vogliono far ritirare con ignominia dalla vita politica. A Milano hanno già scritto una sentenza di condanna, vogliono la mia morte politica dopo 16 anni di impegno per il Paese".
A Mirabello intanto si pianifica nei dettagli la nascita del nuovo partito. Ma con qualche accortezza. Dopo aver pranzato al ristorante "I Durandi" con tutti i suoi parlamentari "futuristi", domani il presidente della Camera salirà sul palco della festa Tricolore e proclamerà eterna "fedeltà" al governo. Fedeltà al governo, non al Pdl o al suo leader, beninteso. "Il premier - confida
uno dei luogotenenti finiani più ascoltati - dovrà rassegnarsi e accettare l'idea di una coalizione a tre gambe: noi, il Pdl e la Lega. Si deve fare questi 2 anni e mezzo di legislatura che gli restano e noi lo costringeremo ad arrivare fino alla fine". Con lo svantaggio, per il premier, di dover governare in una condizione molto diversa da quella antecedente alla nascita del Pdl. "Prima Berlusconi poteva contare sulla dialettica tra Bossi e Fini, ma a noi non interessa più contrapporci alla Lega. Anzi, a Mirabello Fini aprirà sul federalismo". Inoltre, quando ancora c'era Alleanza nazionale, il Cavaliere giocava sulla sponda interna dei colonnelli "berluscones", un fattore che è stato azzerato con la nascita di Fli.

Per non inciampare sulla giustizia, e regalare così al premier "l'alibi per andare al voto", i finiani sono disposti ora a trangugiare qualsiasi legge ad personam. "Purché sia davvero ad personam - scherzano - e non impatti violentemente sulle vite di migliaia di cittadini come invece fa il processo breve". Su questo punto infatti i parlamentari di Fli non cedono di un metro: il processo breve, con la norma transitoria che lo rende applicabile ai processi in corso, non lo voteranno mai e poi mai.

A questo punto al Cavaliere, per uscire dallo stallo, non resta che sperare su una scissione interna ai "futuristi". Sembra che a questo stia lavorando alacremente, con il sostegno degli ex An che gli sono rimasti fedeli. L'obiettivo è arrivare alla nascita di un gruppo parlamentare "cuscinetto", guidato da una personalità esterna come il repubblicano Francesco Nucara, che possa accogliere quei finiani che non se la sentono di seguire il presidente della Camera sulla strada di un nuovo partito. Ma dal quartier generale di Mirabello ostentano sicurezza: "Alla Camera siamo in 35 e abbiamo qualche dubbio solo su un paio di deputati. Se anche dovessimo scendere a quota 33 cosa cambierebbe? Nulla. Berlusconi si illude se pensa di portarci via 10-12 deputati come gli stanno facendo credere".

Fini conta molto sull'impatto visivo della piana di Mirabello. Muovendosi ormai come un vero partito (manca solo l'annuncio, ma non arriverà prima di ottobre-novembre), i finiani stanno organizzando treni, aerei e pullman da tutte le regioni d'Italia per ascoltare il loro leader. "Saremo in tanti - preannuncia Adolfo Urso - perché la destra italiana sente il bisogno di stringersi al suo leader per lanciare un messaggio forte alla nazione". Italo Bocchino, regista dell'operazione, prevede "almeno 10 mila persone". Un "movimento di popolo" che dovrebbe convincere anche le colombe più timide a rompere gli indugi e andare dritti alla fondazione del partito della "nuova destra".

venerdì 3 settembre 2010

Siamo già ai tempi supplementari

Combattiamo la destra che e’ dentro di noi. Il tempo è una risorsa scarsa

di Fabio Mussi

Bisognerebbe spiegare naturalmente perché si è seppellito l’Ulivo, si sono sciolti due partiti per farne uno che ha meno voti della somma dei due (comunque poco più della metà di quelli necessari a vincere un’elezione), si è sciolta l’Unione, per poi ora tentare in extremis di tornare a un qualche punto di partenza, ad una alleanza, ad un “Nuovo Ulivo”. Ma il tempo stringe maledettamente. Rimandiamo.

E siccome il tempo stringe e maledettamente, il primo obbligo è non perderlo a discutere delle cose autoevidenti: è per esempio di per sé evidente che bipartitismo, vocazione maggioritaria, autosufficienza di un partito solo etc. sono fantasie con cui si è costruito un castello sulle nuvole, contribuendo a ridurre l’Italia nello stato in cui versa. Ma, si sa, le ideologie sono potenti, e si trascinano inerzialmente dietro alla realtà che le falsifica. Mettiamo cortesemente da parte, e avanti. Così come è opportuno (forse meno cortesemente) mettere da parte la bislacca idea, lungamente coltivata nel campo democratico, praticamente fino all’altro ieri, che insieme a Silvio Berlusconi si può realizzare una riforma costituzionale e rifondare la Repubblica.

Bisogna fare presto cose nuove. Definire con chiarezza l’alleanza, il campo di forze di centrosinistra che si candidano a governare, e scegliere la leadership. Con le primarie. Si può essere a favore o contro il metodo delle primarie, ma non a giorni alterni e secondo le convenienze, perché altrimenti si arrabbiano molto in molti, e cresce il continente dei delusi e degli astenuti.

A questo punto viene la parte, anch’essa urgente, ma più impegnativa, dei contenuti. Intendiamoci: “Contro Berlusconi”, è già un contenuto. Come ottan’anni fa non si poteva essere democratici senza esser antifascisti, così oggi non si può essere democratici senza essere antiberlusconiani. Ma è vero, come si dice, che non basta essere “contro”. Ci vuole un progetto e un programma, un’altra idea d’Italia. Ripetere “riformismo” ad ogni piè sospinto lascia il tempo che trova: quali riforme ha in testa il centrosinistra? Non è chiaro,e deve diventarlo rapidamente.

Una alternativa. Non basta combattere la destra che abbiamo contro, bisogna combattere la destra che abbiamo dentro, fare i conti con l’alluvione di interpretazioni, rappresentazioni, miti tracimati dal campo altrui nel nostro, tanto che il blocco radunatosi intorno a Berlusconi –oggi in crisi ma non in rotta- si è visto consegnare le chiavi di casa: il primato e l’egemonia, la maggioranza dei voti nelle urne e delle idee nella testa della gente.

Di là si discute di intercettazioni e di processo breve: c’è da vergognarsi, ma si capisce. Di qua la discussione sembra concentrata sulla legge elettorale: con tutto il rispetto per l’importante tema, e il riconoscimento dell’obbrobrio di quella in vigore, non si capisce, se non si dà la priorità ad altro. Siamo nel cuore di una tempesta perfetta: la crisi del capitalismo globalizzato, che ha assunto caratteri sempre più spiccatamente predatori, è in pieno svolgimento. Il sistema, dominato dalla finanza, si regge su una doppia svalorizzazione: quella del lavoro umano e quella dell’ambiente. L’umanità si trova di fronte a problemi inediti, ad un bivio. Dopo il ’29, con Keynes e Roosvelt negli Usa e, dopo la sconfitta del nazismo e del fascismo, con il socialismo in Europa, la riforma che portò allo Stato sociale cambiò profondamente politica, economia e natura della società. E oggi?

La cosa più disperante è che la superclasse dei predatori, una volta saccheggiati i bilanci pubblici per salvare banche e imprese, è di nuovo all’attacco, e la sinistra in Europa è per lo più muta. Potremmo riprenderci la voce in Italia, e affrontare l’appasionante compito di una proposta di riforma di sistema che dia stringenti regole nuove alla finanza, e rimetta al centro il lavoro, l’ambiente, il sapere, i beni pubblici che non possono essere ridotti a merce.

Qui la discussione su un programma di governo potrebbe farsi parecchio interessante. Proporrei di cominciarla subito: il tempo è una risorsa scarsa.

Fabio Mussi

Presidente Comitato Scientifico SEL

La putredine al potere



Il silenzio è d'oro, la parola è d'argento: l'immoralità di Dell'Utri

di Alessio Quinto Bernardi

"È difficilissimo parlare senza dire qualcosa di troppo", ne era convinto anche Luigi XIV. Meglio tacere e perseguire la via del silenzio, quando essa è conveniente. Magari annodando alla nuca un bavaglio con le proprie mani per eccesso di sicurezza. Lo sa bene anche il sen. Marcello Dell'Utri (PdL), un eletto dal popolo sovrano o un nominato da Berlusconi (a seconda della scuola di pensiero), ma anche un "condannato per concorso in associazione mafiosa", già sostenitore dell'eroismo di Mangano. La Carta prevede che "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione"; lascio alla fantasia dei lettori stabilire quale parte della Nazione Dell'Utri possa degnamente rappresentare. Egli ci dà un consiglio per l'eventuale interpretazione « Io sono politico per legittima difesa. A me delle politica non frega niente. Mi difendo con la politica, sono costretto. Mi candidai nel 1996 per proteggermi. Infatti subito dopo mi arrivò il mandato di arresto [...] Mi difendo anche fuori [dal Parlamento], ma non sono mica cretino. Quelli mi arrestano». "La libertà di parola vale per tutti", a meno che non si debba parlare di qualcosa che sarebbe preferibile evitare: in tal caso avvelersi della facoltà di non rispondere! L'omertà paga con l'oro del silenzio. Difatti il senatore, memore di quanto era stato a Palermo, tace quando gli si chiede conto della P3. E nonostante il primo dei coordinatori pidiellini, Denis Verdini, dichiarasse che «Fece tutto lui (Dell'Utri, nda), mi disse: devi fidarti di Carboni», Dell'Utri coglieva l'occasione per esternare la sua morale: "E' una mia regola fissa, non avendo parlato con i procuratori, non mi sembra il caso di farlo con la stampa. E' una regola fondamentale per chi e' indagato, la consiglio a tutti". E' un consiglio che va diffuso il più possibile, anche al premier lo diede in tempi non sospetti "“fui io a dire a Berlusconi di stare zitto e di non andare in aula a testimoniare”.





Arriva il giorno in cui Dell'Utri deve parlare durante un "pubblico dibattito" in quel di Como dei "Diari" mussoliniani di "dubbia autenticità". Il senatore viene contestato dal pubblico ed è costretto ad abbandonare l'incontro. Scoppia il caso mediatico. Nel solco di Voltaire e della sua massima "Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perchè tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente", molti ne prendono le difese, invocando la "libertà di parola". Pierluigi Battista se ne fa carico dalle colonne del Corriere e, pur incassando le proteste dei lettori, spiega "Ho difeso un principio di libertà che dovrebbe valere per tutti, erga omnes, e non solo per chi con decreto arrogante, riteniamo meritevole di dire la propria opinione". E a chi gli fa presente che anche protestare è un diritto risponde che "il dissenso si manifesta sulle cose che uno dice, non su quelle che non ha nemmeno il tempo di dire, preventivamente zittito dalla folla urlante". Ritengo che la libertà di espressione sia un qualcosa di tanto vasto da accogliere in sè sia Dell'Utri che i suoi contestatori. Risulterebbe stancante valutare quali diritti prevalgano. Tuttavia si può riflettere su quali motivazioni vi siano alla base delle contestazione. Ed il curriculum del senatore mi sembra alquanto esaustivo al riguardo. Quando il senatore ha scelto di partecipare, penso che fosse consapevole del carattere pubblico dell'evento e, dunque, che vi potesse essere la presenza di contestatori ed un'eventuale interazione con questi. Si è mai visto andare qualcuno ad un dibattito pubblico senza pubblico? Non è che il contestatore stabilisce "unilateralmente che chi è condannato in un Stato di diritto non possa partecipare ad un dibatto pubblico". Accade più semplicemente che quando un politico decide di ad andare ad un pubblico dibattito, si crei l'occasione per i cittadini di potergli esprimere pubblicamente il proprio dissenso. Anche questo concorrere a fare una società civile con cittadini responsabili. Aggiunge pure Battista che " la libertà di parola, infine, non stia a cuore all'associazione dei partigiani è motivo di grande tristezza". Dell'Utri li vuole solo cancellare dalla storia, perchè protestano illiberalmente? Non è forse vero che, per il senatore, siamo «ancora oggi condizionati dalla retorica della Resistenza». Nella "Metafisica dei costumi" Kant riconosce nella dignitas (dignità della persona, nda) la ragione del riconoscimento universale dei diritti dell'uomo e ricorda che “il rispetto che ho per gli altri è il riconoscimento della dignità che è negli altri”. A questo punto mi chiedo quale sia la dignità di Dell'Utri? Quale rispetto merita? Ha ancora un senso la parola vergogna?

mercoledì 1 settembre 2010

Italietta

Politica europea
Quote latte e “made in Italy”, rispunta l’Italietta
Giampiero Gramaglia
31/08/2010


Un contenzioso scaccia l’altro: quote latte, “made in Italy”, regime linguistico, a torto o - più raramente - a ragione, l’Italia non la smette più di litigare con l’Ue. E la Commissione europea dichiara, volta a volta, la propria “delusione” di fronte a decisioni italiane che “paiono andare contro le regole comunitarie”, ma non precipita le decisioni. La vicenda più calda è quella delle quote latte, un tormentone che si trascina dagli anni ‘80, quando ministri dell’agricoltura erano Giovanni Marcora e Filippo Maria Pandolfi: l’Esecutivo comunitario è stato informato a fine luglio dell'approvazione in Parlamento dell'emendamento per la proroga del pagamento delle multe a carico dei produttori di latte, e prevede di avviare a settembre "contatti bilaterali tra esperti giuridici italiani ed europei per chiarirne l'impatto sotto il profilo comunitario".

In una dichiarazione all’Ansa Roger White, portavoce del commissario all'agricoltura, il romeno Dacian Ciolos, non nasconde il disappunto, ma puntualizza: “Stiamo vagliando la situazione sotto il profilo giuridico per decidere come reagire, se considerandola un aiuto illegale, oppure con una procedura d'infrazione o per altra via". Cioè, è chiaro che la decisione italiana è, nell’ottica europea, fuori legge e che le autorità di Bruxelles non sono disposte a chiudere un occhio, ma vogliono ponderare i passi da fare per ristabilire la legalità. ''Anche se la misura riguarda meno di 100 produttori di latte - osservano fonti comunitarie anonime - il voto è chiaramente contrario alla normativa Ue ed è perciò inaccettabile''. E a questo punto a Bruxelles si fa sempre più strada l'ipotesi che nei confronti dell'Italia possa essere aperta in tempi brevi una procedura d'infrazione, l’ennesima.

Il fardello dei contenziosi
Non sarà di certo l’ultima. Nel mirino dell'esecutivo comunitario non c'e' solo la questione della proroga delle multe per le quote latte: è recente l'altolà di Bruxelles alla legge sul “made in Italy”, altro provvedimento in contrasto con le norme Ue. Anche su questo fronte, se Roma non interverrà con modifiche prima dell'entrata in vigore della legge, c'è il forte rischio d’un ‘redde rationem’ di fronte alla Corte di Giustizia europea. Ma si lavora a un compromesso.

Le nuove procedure, se scatteranno, andranno ad appesantire il fardello del contenzioso tra l’Ue e l’Italia, che è il più grosso fra i 27 e che ci costa ogni giorno multe salate, pur essendo i casi aperti diminuiti da 275 nel 2006 a 153 nel 2009. Un esempio minore, ma significativo: la sola vertenza sul 112, il numero telefonico unico europeo d’emergenza, costa all’Italia 39.680 euro al giorno dal 15 gennaio 2009. Se l'infrazione dovesse persistere fino alla pronuncia della Corte di Lussemburgo, l'ammenda salirebbe a 178.560 euro al giorno. A tutt’oggi, l’Italia s’è già giocata quasi 20 milioni di euro. La Commissione s’è mossa dopo avere inviato a Roma due avvertimenti: il 112 in Italia non va bene perché - dice l’Ue - non è ancora possibile localizzare la chiamata d’emergenza, in situazioni in cui i minuti contano: “Se la vita dei cittadini è messa in pericolo perché un governo non agisce, io non starò a guardare", avverte il commissario competente, l’agguerrita olandese Neelie Kroes.

Litigi intestini e guerricciole europee
Il bello, o il brutto, è che, sulle quote latte e sul “made in Italy” il litigio non è solo tra Ue e Italia, ma è forse soprattutto interno alle forze che sostengono il governo a Roma. Nel silenzio quasi unanime dell’opposizione, ministri ed esponenti del Partito della Libertà e della Lega s’azzuffano a parole. La Lega, che ce l’ha con Bruxelles quasi che sia anch’essa ladrona, cavalca la protesta di 92, o forse 109 - le fonti discordano, in merito -, grandi produttori lattiero-caseari padani, palesi violatori delle norme sulle quote latte, gli unici a trarre vantaggio dall’ennesima proroga.

Umberto Bossi promette di “portare gli agricoltori”, ma forse voleva dire gli allevatori, dal premier Berlusconi e dal ministro Tremonti, proprio mentre la stessa Fedagri Lombardia, che rappresenta migliaia di allevatori che hanno rispettato le norme o hanno pagato le multe, denuncia l’iniquità distorsiva dell’ulteriore proroga. E anche le organizzazioni dei consumatori, come il Codacons, si muovono: se gli allevatori fedifraghi non pagheranno le multe, saranno i cittadini consumatori e contribuenti a pagarle due volte, prima con l’intervento statale e poi con le sanzioni comminate dalle autorità comunitarie.

Lo scontro, all’interno del governo, è aspro soprattutto tra la Lega e il ministro dell’agricoltura Giancarlo Galan. Ci sono dietro ruggini venete, perché Galan, Pdl, governatore del Veneto, ha dovuto accettare senza entusiasmo un ‘valzer delle poltrone’ con Luca Zaia, che era ministro dell’agricoltura e che ora è governatore del Veneto. Galan giudica “una porcheria” l’emendamento sulle quote latte: “ci s’impicca” per difendere pochi allevatori che hanno violato norme e impegni. “La vacca Ercolina - dice il ministro - è costata all’Italia in vent’anni quattro miliardi di euro” e, se va avanti così, l’Europa continuerà a sanzionarci. La Lega, magari, pensa di risolvere il problema non pagando, ma l’Ue ha un sistema molto semplice per rivalersi sull’Italia, trattenendo le somme sulle restituzioni.

Made in Italy e made in Europe
Analogo il bisticcio intestino sul made in Italy: il viceministro allo sviluppo economico Adolfo Urso, finiano, protagonista di un botta e risposta con il leghista Marco Reguzzoni, primo firmatario del provvedimento contestato, sostiene che “la strada maestra” per un’azione a tutela del “made in Italy” è “quella europea”: “Nessun paese in materia commerciale può fare da sé - spiega -, essendo questa una competenza diretta dell’Ue”.

La legge approvata dal Parlamento italiano suscita perplessità a Bruxelles e la Commissione ha già scritto al governo, chiedendo di modificarla per renderla conforme alle normative comunitarie. Una lettera a firma di Heinz Zourek, direttore della direzione generale Imprese dell’esecutivo comunitario, solleva obiezioni procedurali e sostanziali. Nel merito, Zourek contesta, in particolare, il marchio volontario “made in Italy”, che viola le norme Ue e che è “contrario agli obiettivi del mercato interno”.

Qui, però, un ruolo importante lo può giocare il commissario europeo all’industria Antonio Tajani, che, per il suo incarico e la sua appartenenza politica e nazionale, sta lavorando a un compromesso: “il principio della tutela degli interessi delle pmi e dei consumatori”, che ispira la legge sul “made in Italy”, “è sacrosanto”, afferma il vicepresidente dell’esecutivo, ma bisogna muoversi nell’Ue e non al di fuori di essa e cercare quindi una soluzione lungo la strada del “made in Europe”.

Lettere e ammonimenti
Più incancrenito il contrasto tra Bruxelles e Roma sulle quote latte. L’Italia aveva informato l’Ue, il giorno stesso del varo della manovra in Parlamento, dell'impegno del Governo ad attuare le disposizioni dell'articolo 40-bis sulla proroga del pagamento delle multe, con un impegno di spesa a carico dello Stato di 5 milioni di euro. E il commissario Ciolos, a caldo, aveva ‘bacchettato’ l’Italia: ''La Commissione europea - aveva detto - è delusa di apprendere che l'Italia ha votato una misura che pare essere contraria alle regole dell'Ue''.

Nelle due settimane precedenti, Roma aveva ricevuto due messe in guardia dall'Ue, che ha seguito da vicino dibattito e votazioni al Senato e alla Camera. La prima lettera del 9 luglio, indirizzata al ministro Galan e firmata Ciolos, chiariva senza ambiguità che la proroga ''sarebbe non solo in netto contrasto con il diritto Ue, ma anche con i ripetuti impegni assunti a livello politico dal governo italiano d’imporre una rigorosa ed efficiente applicazione in Italia del regime delle quote latte''.

Poi, era stato il direttore generale per la politica agricola della Commissione a scrivere all'Italia, lanciando un monito ancora più chiaro: ''Ogni modifica delle regole fissate nel 2003 sulla rateizzazione del pagamento delle multe per le quote latte (l'accordo fu fatto nel Consiglio Ecofin dall'allora e attuale ministro dell'economia, Tremonti) potrebbe violare le norme europee sugli aiuti di Stato''.

Gli avvertimenti sono rimasti inascoltati. E così, 26 anni dopo la creazione del sistema delle quote latte, l'Italia rischia di combattere l’ennesima disfida con l’Unione e di perderci soldi e credibilità. E questo proprio quando s’intravvede la fine del meccanismo che scadrà, salvo proroghe, il 31 marzo 2015. Ma ha senso entrare in rotta di collisione con Bruxelles per un secchio di latte padano?

Giampiero Gramaglia è consigliere per la comunicazione dell’Istituto AffariInternazionali.

Vedi anche:

S. Locatelli: Lingue Ue, Roma e Bruxelles ai ferri corti