mercoledì 30 giugno 2010

COSANOSTRA ED I SUOI PICCIOTTI AL POTERE





Una sentenza di condanna


CLAUDIO FAVA


Che piaccia o meno ai difensori di Marcello Dell’Utri, la sentenza che lo condanna
in appello a sette anni di reclusione ci dice anzitutto una cosa: il partito di Silvio Berlusconi è stato fondato da un amico dei mafiosi.

Quanto a lungo sia durata questa amicizia, e se essa duri ancora, è dettaglio che
non ci riguarda e che non ci sottrae da un obbligo di verità: riscrivere la storia e
la cronaca di questo paese.
La storia non sta in una sentenza, ma nello sguardo, limpido e responsabile, con
cui si leggono i fatti che quella sentenza certifica.
E il fatto che ci consegnano i giudici di Palermo, per la seconda volta, è che
l’uomo di punta di Publitalia, il principale ispiratore dell’avventura politica del
Cavaliere, era persona di fiducia al tempo stesso dei Corleonesi e di Berlusconi.
Fino al ’92, chiosa adesso la difesa, come se i vincoli di solidarietà mafiosa si
costruissero e si sciogliessero alla mezzanotte d’un 31 dicembre. L’amicizia
con i capi di Cosa Nostra è per definizione una virtù solida e duratura.

Dell’Utri lo sa bene, e in un eccesso di generosità lo ha confermato ieri in
conferenza stampa: Mangano, il boss mafioso palermitano, resta un suo
eroe civile.
C’è più verità in quest’affermazione che in qualsiasi nostro commento.

Consapevolmente o meno, è lui stesso, il senatore, a confermarci che in
questi ultimi quindici anni non un solo atto politico dei governi presieduti
da Berlusconi, non una sola dichiarazione del premier o del suo braccio
destro Dell’Utri, non un loro gesto, una parola, una denunzia sono serviti
a contrastare la mafia.

Al contrario: se questa storia avremo cura e onestà di riscriverla davvero,
scopriremo un florilegio di atti di governo che hanno garantito l’impunità di Cosa
Nostra smantellando sistematicamente tutti gli strumenti d’indagine e di verità
della magistratura.
Se poi qualcuno ritiene che la notizia oggi non sia la condanna ma i due anni
di sconto di pena rispetto al primo grado, siamo di fronte alla parodia della
giustizia.

Come i cannoli di Totò Cuffaro che festeggiava cinque anni di galera per un
favoreggiamento mafioso semplice e non aggravato.

Va riscritta la storia non per bonificarla di ciò che non ci piace ma per
comprenderne ogni verità.
E va riscritta la cronaca, questo tempo slabbrato e impunito in cui
“innovare” in politica significa cercare le proprie personali convenienze.
In un telegiornale di qualche settimana fa la telecamera inquadrava
Gianfranco Miccichè e Marcello Dell’Utri sul portone di Palazzo Grazioli:
erano andati a spiegare a Berlusconi le ragioni del patto siciliano che
li ha portati a governare assieme a Lombardo e al Partito Democratico.

Eppure in quel partito, il PD, c’è un’antica consuetudine di lotta alla mafia,
intensa e responsabile, trascorsa anche attraverso il sacrificio di uomini
come Pio La Torre e Piersanti Mattarella.

Anche in nome di questa storia andrebbe raddrizzata la cronaca: e quel
partito dovrebbe sottrarsi immediatamente al vizio di masticare lo stesso
pane e di praticare la stessa politica con Dell’Utri, Miccichè e Lombardo.

Forse non è un caso che in un solo pomeriggio si siano raccolte due vicende
così umilianti per la Sicilia: la condanna di Dell’Utri e i dieci anni di galera
chiesti dalla pubblica accusa per l’ex governatore Totò Cuffaro.

Se c’è un momento in cui un popolo si trova nudo davanti a sé stresso e alla
propria storia, quel momento per la Sicilia è adesso: da dieci anni è solo una
storia giudiziaria, computata nelle camere di consiglio dei tribunali, una storia
di processi, sentenze, condanne, di sguardi storti, verità rabberciate,
messaggi obliqui…

Tocca ai siciliani, se ne hanno ancora la forza e la volontà, immaginare un
tempo nuovo in cui non saranno più le facce di Dell’Utri, Lombardo e Cuffaro
a raccontare la loro terra.


"MACELLO" DELL'UTRI
RACCONTATO PASSO PER PASSO
***
Passo finale
1990, gennaio-febbraio Il gruppo torna nel mirino. A Catania avvengono una serie di attentati contro Standa (Fininvest) e Rinascente (Fiat). La Fiat ammetterà di aver pagato per farli cessare. La Fininvest invece nega e non si costituirà parte civile al processo. Per i pm, il... vero obiettivo è sempre avvicinare Craxi. Vari pentiti e un teste dicono che Dell’Utri incontrò i boss Salvatore Tuccio e Nitto Santapaola per accordarsi. E a partire da quel periodo Dell’Utri risulta volare spessissimo a Catania.


1991 Mangano esce di prigione. Vuole riprendere in esclusiva il legame con Dell’Utri. Ma Riina invia il boss Totò Cancemi a dirgli di farsi da parte. Dice Cancemi: “Dell’Utri inviava 200 milioni all’anno a Cinà, che tramite (i boss) Di Napoli e Ganci li dava a Riina, che li smistava alle famiglie”.


1992, gennaio-febbraio Vincenzo Garraffa, senatore Pri e presidente della Pallacanestro Trapani, riceve la visita del capomafia Vincenzo Virga. “Mi manda Marcello”, spiega Virga venuto a reclamare 700 milioni per conto di Dell’Utri. Nel maggio 2004 il fatto è stato accertato dal Tribunale di Milano. Dell’Utri e Virga sono stati condannati a due anni per tentata estorsione.


1992, maggio-giugno L’ex dc Ezio Cartotto (sentito come teste) è ingaggiato in segreto da Dell’Utri per studiare un’iniziativa politica in previsione del crollo dei partiti amici a causa di Tangentopoli.


15 gennaio1993 Arresto di Riina. La mafia, coi vecchi referenti politici alle corde (compreso l’agognato Craxi), pensa di fondare il partito Sicilia Libera, con i cui esponenti (risulta da agende e tabulati telefonici) Dell’Utri è in contatto.


1993, estate Bernardo Provenzano, secondo il boss Nino Giuffrè, abbandona l’idea di Sicilia Libera e stringe un patto elettorale con Dell’Utri: fine delle stragi in cambio dell’alleggerimento delle indagini, del 41 bis, e di una nuova legge sui pentiti.


12 luglio 1993 Berlusconi, racconta l’ex condirettore de “il Giornale” Federico Orlando, faxa un decalogo con la “linea” da seguire. Uno dei punti forti è l’attacco ai pentiti e al reato di associazione mafiosa.


1993, novembre Mentre Berlusconi crea Forza Italia, Dell’Utri vede Mangano a Milano (risulta dalle agende del senatore). Con l’arresto di Riina l’ostracismo nei suoi confronti è caduto. Mangano anzi è stato promosso capofamiglia di Porta Nuova.


31 dicembre 1998 Dell’Utri viene filmato dalla Dia mentre incontra un collaboratore di giustizia messinese, Pino Chiofalo, organizzatore di un complotto per screditare i pentiti che accusano il senatore e i boss. Nel film lo si vede mentre gli consegna dei regali. Chiofalo, arrestato, confessa: “Dell’Utri promise di farmi ricco”.


1999 Dell’Utri si candida alle europee. Una microspia capta la voce di uno stretto collaboratore di Provenzano, Carmelo Amato, mentre raccomanda più volte ai picciotti di votarlo. Per esempio il 22 maggio: “Ora a questo si deve portare in Europa: Dell’Utri. Sì, qua già si stanno preparando i cristiani (i mafiosi, ndr)”. Anche Cinà, chiamato “zio Tano”, viene intercettato. E addirittura ammette di essere un uomo d’onore: “Carmelo, vedi che io sono combinato (mafioso ndr) come te”, dice.


13 maggio 2001 Dell’Utri viene rieletto. Nelle intercettazioni in casa del boss Giuseppe Guttadauro si sente il capomafia dire: “Con Dell’Utri bisogna parlare”, anche se “alle elezioni del ’99 ha preso degli impegni, e poi non s’è fatto più vedere”. Poi Guttadauro aggiunge che Dell’Utri si era accordato di persona con Gioacchino Capizzi, l’anziano capomandamento della Guadagna, lo stesso clan di cui facevano un tempo parte Bontade, Teresi e i fratelli Pullarà.

Per Dell’Utri è il passato che ritorna.
Anzi che non se ne è mai andato.

Oltre lo specchio, con tenerezza




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Che cos'è il comunismo?


(Nichi Vendola, 27 febbraio 1989. )

Paolo inciampa in troppi perchè e culla le sue inquietudini dentro un buco.
Mi "buca" tutte le mie saggezze.
Come un astronauta solitario s'imbarca nella sua siringa. A cercare la luna? E non è il mio stesso desiderio?

Alice e il suo specchio. Quelle immagini consuete che rimbalzano dai suoi occhi di cristallo: un corpo - abitato da umori pensieri gesti precari - che abita una scena squadrata e intristita. Sagome in bilico su quello specchio, gusci noiosi e aspirine. Forse camicie di forza, pensa Alice.
Ed è un pensiero che si insinua, come una serpe, fin dentro al suo cuore, fino ai polmoni, fino al suo sesso. "Non sono poi così brutta, nonostante la mia immagine dimezzata, nonostante le mie gambe inerti, nonostante la mia carozzella su cui inchiodo tutti i miei vent'anni. A modo mio sono bella: il vero handicap è dentro lo specchio."

La città di Alice è lontana. E di lontananze si colmano tutte le geografie del simbolico. La città si dipana tra fretta, divieti e gabbie. La grande Barriera Architettonica solenne come una cattedrale incombe in ogni angolo. La solitudine di Alice ha anche un fondamento, come dire?, urbanistico. Come la serpe del vecchio Eden, le torna un pensiero: spaccare i vetri (delle convenzioni dei pregiudizi delle pietà)? oltrepassare lo specchio?

Samir non ha una valigia. Ha due buste di plastica, colme di stracci. Ha riccioli neri e anagrafe tunisina. E non parla bene l'italiano. Quando la sera, dopo dieci ore di fatica nei campi, conta le sue ventimila lire, non ha molta voglia di ringraziare Allah. "Mangerò carne e berrò vino tutti i giorni", mi dice rabbioso mentre camminiamo per le strade di Caserta. Eppure Samir, che non ha neanche una valigia, è un buon musulmano.

Non conosco i nomi dei cassintegrati e dei disoccupati: e tra questi, non so nulla di quanti sono impazziti o si sono suicidati.
Invece ho visto le foto di molti ragazzi di leva che sono stati "suicidati". Chi racconterà le loro storie? Nell'"album di famiglia" dei miei vagabondaggi ritrovo tutti i volti e le ragioni che mi hanno fatto comunista.

Contro 'questa' modernità: che mercifica e contabilizza ogni brandello di vita, ma non fa mai i "conti" con le persone in carne ed ossa.

Contro 'questa' modernità capitalistica che riduce l'elemento umano alla stregua di un optional!


Cos'è il comunismo? E' andare oltre lo specchio, con tenerezza.

lunedì 28 giugno 2010

L'ultimo saluto a Rina Gagliardi





Guardare il mondo con gli occhi di Rina

Autore: Nichi Vendola

Pubblicato: 28 giu 2010

Per nessuno di noi – di noi che amiamo Rina Gagliardi – è facile accettare che sia andata via. Troppo brusca l’uscita di scena, neppure il tempo per un congedo, e tantissime ancora le cose importanti da scambiare con lei, le promesse e i segreti che intrecciano i fili delicati dell’amicizia.
E invece Rina ha fatto l’ultima danza e poi è venuto giù il sipario. Un colpo di vento e lei non c’è più. Un battito d’ali e poi tutto finito. Ahi Rina! Non inciamperemo più nella sua voce elegante, musicale, persino teatrale, sempre alla ricerca di un sillabario più umano, di una sfida più nobile, di una leva culturale capace di sollevare la pietra sepolcrale dell’ipocrisia e dell’oscurantismo. Non godremo più dei suoi motti di spirito, della sua speciale capacità di mescolare stupore, indignazione, tenerezza, intelligenza. Non potremo più rifugiarci nel porto franco della sua libertà di pensiero, della sua onestà intellettuale, della sua moralità spoglia di supponenza e capace di una straordinaria pietas.
Eppure non smetteremo di lasciarci sorprendere da quella sua grazia infantile, da quello stare nella dimensione pubblica senza mai smarrire le ragioni di una militanza che si fa carne e sangue di una intera esistenza. Eppure continueremo a mettere i nostri occhi nei suoi occhiali, covando sempre il sospetto che la sua miopia fosse solo un allenamento allo “scrutare”: scrutare con pignoleria e grande professionalità i fenomeni sociali e la loro rappresentazione politica, scrutare con le pupille appese al telescopio della grande storia e al microscopio della quotidianità, osservare e annotare e decrittare e analizzare. Eccolo il giornalismo superbo di Rina Gagliardi: l’esercizio rigoroso e cristallino di un mestiere di scrittura che non ha mai, neanche per un istante, ceduto alle lusinghe del gossip o della cronaca pettegola e contundente.
Perché nella sua passione per la sfera del “politico” non c’era ombra di politicismo, non c’era incantamento per il Palazzo e le sue alchimie, non c’era soggezione alcuna nei confronti del potere e dei potenti. Scrivere per Rina è raccontare, capire, cercare i sentieri del cambiamento, costruire i nessi tra il vertice e la base della piramide sociale, liberare l’intelligenza da qualsivoglia forma di superstizione. Scrivo di Rina che scrive e mi accorgo che i verbi non possono più coniugarsi al presente. Ma come si fa a parlare di Rina al passato? Questa volta io non so come fare. E’ come quando la paura ti paralizza. Occorre muoversi, ma si resta immobili. E invece bisognerebbe subito fare qualcosa, tuffarsi tra le onde, attraversare questo mare doloroso: anche per cercare una sponda di senso o almeno di consolazione.
Forse bisognerebbe darsi il coraggio dei pensieri che volano nel cielo della trascendenza. Oppure occorrerebbe laicamente elaborare una morte che ci spiazza, celebrando il senso luminoso di una vita. No, questa volta non è facile. Questo strappo così ingiusto lacera una tela di racconti, di passioni condivise, spacca un tempo lungo: e il cronografo dei nostri pensieri non vuole più legarsi alle proprie lancette. Se solo si potesse fermare il ritmo delle cose che si perdono come dentro una oscura entropia, fermare il vortice che trascina lontano chi vorremmo tenere qui con noi, vicino a noi! Se solo ci si potesse ancora stringere a Rina, compagna meravigliosa dei giorni tristi e dei giorni allegri! E ancora scambiare con lei qualche segreto e qualche promessa. Per dirci che la vita è più forte della morte, che la morte non chiude i conti della vita. Per dirle che la porteremo sempre nei nostri cuori, che non la dimenticheremo mai.




Ciao Rina, intelligenza rara



Accade a sinistra Rina Gagliardi è morta questa mattina a Roma dopo una malattia brutale e improvvisa. Aveva 63 anni, gran parte dei quali passati al manifesto e molti in Rifondazione comunista. Del quale ha diretto il quotidiano Liberazione, accanto a Sandro Curzi, con grande professionalità e acume. Una scomparsa "tragica" di una donna, militante, che considerava "un delitto" calpestare anche un solo verme


di Salvatore Cannavò

«Commette un delitto chi, nel suo precipitoso darsi da fare, con brutale disinvoltura calpesta anche un solo verme». Se bisogna ricordare Rina Gagliardi, morta implacabilmente questa mattina all'età di 63 anni, la frase, il concetto più appropriato è dentro questa espressione di Rosa Luxemburg. E non a caso, Rina l'avevamo sentita al telefono solo dieci giorni fa per proporle di far partre del Comitato editoriale delle Opere complete della rivoluzionaria polacca. In quella telefonata avevamo saputo della sua malattia, improvvisa e brutale come solo la vita può essere. Lei, giornalista militante, firma storica del manifesto, poi alla direzione di Liberazione, insieme a Sandro Curzi, nel momento (forse l'unico) di maggiore vitalità di quel giornale e infine senatrice, un po' smarrita e spaesata, di Rifondazione comunista tra il 2006 e il 2008, in quell'affermazione appendeva il filo della propria vita politica, perché nonostante il giornalismo, cifra della sua esistenza, era la politica a appassionarla sopra ogni cosa. La sua "nota", prima sul manifesto e poi su Liberazione, era invidiata (giustamente) dai grandi giornali, citata dalle rassegne, utilizzata per capire la politica, i suoi movimenti e i suoi paradossi che Rina padroneggiava con disinvoltura, bravura cronachistica, acume giornalistico e comprensione complessiva. Le discussioni con lei sulla "politica" intesa come scienza, come sintesi dei mille fattori che contribuiscono all'agire sociale - economici, culturali, religiosi, moventi all'agire strutturali e sovrastrutturali - sono uno dei ricordi più preziosi che porto dietro dei sei anni vissuti insieme alla direzione di Liberazione. Anni intensi, densi, fatti di mille scontri ma soprattutto di una solida complicità professionale che ci ha permesso di mantenere immutata una stima e un rapporto reciproco.
Rina era ormai conosciuta e ricordata per il suo lavoro nel Prc, in cui è stata intimamente "bertinottiana" non per stupida fedeltà o per burocratico interesse ma perché in sintonia politica e umana (due variabili non scindibili nella sua concezione), con l'ex segretario di Rifondazione comunista, sintonia che non ha mai rinnegato né rimpianto.
Ma la parte prevalente della sua vita professionale l'ha passata al manifesto, venticinque anni, in cui da semplice redattrice è arrivata fino alla direzione, per poi abbandonare il giornale di via Tomacelli e passare, prima al lavoro culturale del Prc - co-dirigendo con Armando Cossutta la rivista teorica Rifondazione - e poi a Liberazione. Ma del manifesto è stata sempre parte integrante, vivendone, anche da esterna, le vicissitudini, i dolori e le, poche, gioie. Da allieva riconoscente, amava citare Luigi Pintor, maestro assoluto di giornalismo politico, portandolo a esempio senza alcuna retorica, anzi in un pudore e una riservatezza che rendeva quel legame incomprensibile ai più.
Era nata nel 1947 a Pisa, alla quale è rimasta sempre legata, ricoscente per la sua laurea in filosofia alla Normale. Ma nel 1971 era già approdata ga Roma, al manifesto, nel momento della nascita del quotidiano "comunista". E in questa veste ha condotto la classica vita dei militanti politici degli anni 70: riunioni interminabili, due soldi di retribuzione - solo pochi mesi fa aveva scoperto che nonostante circa quarant'annni di lavoro non aveva tutti i contributi necessari alla pensione o comunque doveva faticosamente ricomporli - centinaia di sigarette (alla fine, letali), passione mista a delusione, tutto l'armamentario, insomma, del sessantottino che aveva scelto di impegnarsi a fondo.
Tra il '94 e il '95, quando Bertinotti diventa segretario di Rifondazione comunista, sceglie però di passare all'impegno di partito, nel ruolo di condirettrice di un mensile, Rifondazione, voluto allora da Cossutta come luogo di riflessione e dibattito in un partito che ha appena preso il volo. E Rina, che non aveva niente da dividere con la storia di Cossutta, svolge quel ruolo con precisione e disciplina, riuscendo a intavolare un'intesa anche con il vecchio leader comunista.
Poi, nel 1998, Cossutta rompe con Bertinotti, provoca la scissione, una parte del Prc se ne va e anche Liberazione, il quotidiano che proprio Cossutta aveva fortemente voluto, subisce una grave crisi. Per rilanciarlo viene fatta una scelta davvero azzeccata, una doppia direzione affidata a Sandro Curzi e Rina Gagliardi. Una coppia di professionisti che imprime al giornale autorevolezza, affidabilità e serietà. La co-direzione è una delle esperienze più divertenti che ci sia capitato di fare: un "vecchio" giornalista comunista completamente avvinghiato alla professione e, forte della "mitica" direzione del Tg3, fortemente "populista", legato cioè al linguaggio popolare; e una giornalista colta, a volte un po' elitaria, profondamente interessata ai "nessi" e molto più attenta anche ai movimenti interni al partito e alle necessarie mediazioni. Non a caso Rina è una delle componenti della direzione nazionale del Prc e lo sarà fino a quando resterà in quel partito.
La coppia regge all'urto di tutte le difficoltà ma soprattutto gestisce felicemente insieme una fase di espansione del giornale legata soprattutto alla fase dei movimenti, da Genova a Porto Alegre. Nonostante gli scontri, le condivisioni e le comuni intuizioni hanno la meglio e il ruolo di Rina accanto a Sandro Curzi diventa prezioso anche se, forse, è colpevolmente sottovalutato sia nel partito che nel panorama del giornalismo italiano.
Rina redigeva una nota politica in venti minuti ma era anche in grado di organizzare un dossier del giornale du Walter Benjamin; e poi sapeva tutto della Fiorentina, squadra del cuore ma anche di Mina, "la" cantante o di Maria Callas, "la" voce. Possedeva circa 5000 dischi di musica colta e conosceva tutte le opere liriche. Una miniera di citazioni, di ricordi, di competenze e conoscenze che la rende un punto fermo, per fare un giornale, scrivere un articolo, o passare una piacevole serata a cena. Una figura che nella sua irritante distrazione e confusione sapeva infondere anche una certa sicurezza materna benché non avesse mai avuto figli. E dietro un atteggiamento sbrigativo nelle cose di partito, dietro una certa accondiscendenza per i riti dei gruppi dirigenti, dietro la stessa "fedeltà" con cui ha difeso l'esperienza del governo Prodi, si celava però la persona che considerava «un delitto» calpestare un solo verme: una persona capace di emozionarsi, piangere, ridere con gusto, divertirsi nel gossip più banale ma anche impegnarsi nella comprensione di qualcosa "d'altro".
Dopo la "diaspora" di Rifondazione, con Rina ci siamo incontrati poche volte ma ogni volta è stato uno scambio minuzioso di riflessioni politiche, informazioni e commenti. Uno scambio fatto con gusto, con divertimento, quasi con felicità. E chiedendomi ora, mentre scrivo queste tristi righe, cosa fosse quella felicità di incontrarsi, discutere, conversare, capisco che si tratta della felicità che riesce a trasmettere la viva intelligenza. Di quell'intelligenza, cara Rina, non se ne trova molta in giro. E credo che anche questo renderà inconsolabile la tua scomparsa per Dado a cui va il nostro fraterno abbraccio.

domenica 27 giugno 2010

..segue, il potere dei peggiori...

DA PRETE AD AMICO DI CONFALONIERI, REO CONFESSO DELLO SCANDALO BNL! BRANCHER, L'UOMO CHE POTREBBE FAR CROLLARE IL CAVALIERE
ECCO PERCHE' E' DIVENTATO MINISTRO, CON IL LEGITTIMO IMPEDIMENTO (EVITATO DAL COLLE) AVREBBE MANDATO IN PRESCRIZIONE UN PROCESSO CHE AL TAPPONE EVIDENTEMENTE TEME!


Potrebbe far cadere Al Tappone, ecco perchè l'ha fatto ministro per dargli l'impunità


Aldo Brancher è il primo ministro della storia repubblicana ad aver ammesso di aver pagato mazzette a un altro ministro. Ecco chi è il nuovo titolare del dicastero per l’Attuazione del Federalismo, nominato da Silvio Berlusconi il 18 giugno. Il dato emerge da alcuni verbali che ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva.

Ex prete di Trichiana (Belluno), venditore di spazi pubblicitari per Famiglia cristiana, negli anni Ottanta, svestita la tonaca, Brancher passa alla corte del Cavaliere. L’amicizia con Marcello Dell’Utri e la collaborazione con Fedele Confalonieri gli apre le porte di una folgorante carriera politica. Eppure i due interrogatori dell’estate 1993 tratteggiano una storia che ancora nessuno ha raccontato. Non i giornali, né tantomeno i tg che nel giorno della nomina si sono limitati solamente ad accennare a un suo generico “coinvolgimento” in Tangentopoli.

Nella primavera del 1993, invece, Brancher si ritrova a San Vittore, rinchiuso in cella assieme ad alcuni rapinatori. Finisce in carcere per aver pagato 300 milioni di lire all’allora ministro della Sanità Francesco De Lorenzo. Una delle tante mazzette intascate dal notabile del Partito liberale, coinvolto in nove processi di corruzione e condannato a 7 anni e 6 mesi per le tangenti alla sanità napoletana. Brancher, detto lo spretato, viene condannato a 2 anni e 8 mesi per finanziamento illecito ai partiti e falso in bilancio. In Cassazione, però, il primo reato cade in prescrizione, mentre il secondo viene depenalizzato dal secondo governo Berlusconi. Brancher, dunque, non è stato affatto assolto, come ha dichiarato. Un fatto che diventa politicamente rilevante se si rileggono le dichiarazioni di Berlusconi del 17 febbraio scorso: “Non credo ci siano dubbi sul fatto che chi sbaglia e commette dei reati non possa pretendere di restare in nessun movimento politico”. E’ il periodo in cui, tra Roma e Milano, deflagrano nuovi casi di corruzione: dalla “cricca” di Angelo Balducci alla tangente intascata per strada da Milko Pennisi, consigliere Pdl e presidente della commissione urbanistica del comune di Milano. “Noi – prosegue il premioer – abbiamo deciso che le persone che sono sottoposte a indagini o processi in via di principio non debbano venire ricomprese nelle liste elettorali”. Giusto. Peccato che Aldo Brancher, oltre a confessare di aver pagato mazzette a un ministro, è attualmente imputato per ricettazione in uno stralcio del processo sulle scalate bancarie.

Andiamo allora a quel 3 giugno 1993. Davanti al gip di Milano Italo Ghitti, l’attuale ministro Brancher dichiara di voler rispondere alle domande. “Effettivamente – dice – ho versato la somma di 300 milioni di lire in due rate da 150 nelle mani di Giovanni Marone. La somma era destinata a De Lorenzo”. Giovanni Marone, ex segretario personale di De Lorenzo, è la gola profonda che dà fuoco alle polveri dello scandalo. Si tratta dell’ennesimo troncone di Tangentopoli. L’indagine ruota attorno agli spot anti-Aids diventati famosi per lo slogan “Se lo conosci lo eviti”. Il governo finanzia una campagna triennale, dal 1990 e al 1993, con un budget annuo di 40 miliardi di lire. Un tesoretto che fa gola alle tv del futuro premier. Racconta Marone: “La Fininvest mi fece pervenire per De Lorenzo la somma complessiva di 300 milioni che Brancher mi consegnò nei miei uffici romani di piazza Barberini”. Il segretario di De Lorenzo prosegue confermando “i rapporti di buona conoscenza tra i vertici Fininvest e il ministro De Lorenzo”. Dopodiché precisa: “Aldo Brancher e Valeria Licastro (allora segretaria romana di Fedele Confalonieri e oggi moglie dell’ex deputato di Forza Italia Antonio Martusciello, ndr), entrambi funzionari Fininvest, nell’approssimarsi delle decisioni relative alla ripartizione degli spot mi ricordavano di tenere presente la Fininvest”. Una raccomandazione per usare un occhio di riguardo per le tv di Berlusconi che “consistevano nel riservare” alla Fininvest “un maggiore effetto di pubblicità rispetto a quello che avrebbe avuto senza dette sollecitazioni”. Per Marone, poi, non ci sono dubbi sul fatto che quei 300 milioni rappresentassero “un tangibile riconoscimento a De Lorenzo per l’attenzione dimostrata”.

Come risponde alle accuse l’attuale ministro? Nega, ma solo in parte. Brancher, uno dei primi uomini del gruppo Berlusconi messi sotto inchiesta dal pool di Mani Pulite, ammette il pagamento delle mazzette, ben attento però a non coinvolgere i vertici dell’azienda, che in effetti non verranno indagati. Eccolo di nuovo davanti al gip: “Ho effettuato i due versamenti non come segno di riconoscimento per l’assegnazione alla Fininvest della quota di fondi stanziati per la campagna anti-Aids, ma perché ero in contatto con il ministro De Lorenzo per la realizzazione di due progetti denominati Il male del secolo”. Progetto legato alla Promogolden, società di cui Brancher deteneva l’85% delle quote.

Brancher sostiene insomma di aver agito in proprio, ma conferma di aver versato tangenti. Posizione che mantiene a oltranza anche quando, durante il secondo interrogatorio, davanti al pm Gherardo Colombo, confessa di non ricordare esattamente come aveva accumulato la provvista. In nero ovviamente. “I 300 milioni – dice – sono una somma che ho preso in contanti”. Tutto denaro che “tenevo a disposizione per eventuali occorrenze”. E ancora: “Percepivo denaro contante per le mia attività di mediazione nel campo immobiliare. Tutta questa attività è stata fatta in nero e in questo momento non mi ricordo chi mi ha retribuito in nero”.

Dopo i mesi di carcere, Brancher viene chiamato il Greganti di Forza Italia. Come il compagno G. (con il quale condivide un’indagine, poi archiviata, per un giro di bustarelle legato alla costruzione dell’ipermercato Le Gru di Grugliasco, Torino) si immolerà per salvare il partito comunista, così Brancher ammette le sue responsabilità, ma salva la Fininvest. Aiutato in questo da Berlusconi e Confalonieri. Sarà proprio il Cavaliere, infatti, a raccontare: “Quando il nostro collaboratore Brancher era a San Vittore, io e Confalonieri giravamo intorno al carcere. Volevamo metterci in comunicazione con lui”. Forse per invitarlo, telepaticamente, a resistere. E lui resistere. A parlare, però, è anche l’ex ministro della Sanità Francesco De Lorenzo. Da lui la controprova della mazzetta: “Visto che era in corso la campagna elettorale – racconta l’ex dirigente del Pli – Brancher si disse disponibile ad anticipare somme di denaro che mi potevano servire. Ribadisco che ho utilizzato la somma di 300 milioni per la campagna elettorale”.

Dunque non tutto si cancella. Anche se la recente promozione al dicastero del Federalismo ha il sapore della nomina ad personam per poter utilizzare il legittimo impedimento previsto dal nuovo Lodo Alfano allargato all’intero Consiglio dei ministri. Dopo Tangentopoli, infatti, Brancher inciampa in uno stralcio dell’inchiesta sulle scalate bancarie orchestrate dai “furbetti del quartierino”. Qui è imputato per ricettazione. Gianpiero Fiorani ha raccontato di avergli versato denaro in contanti per molte centinaia di migliaia di euro: “Quando ci fu la discussione sul disegno di legge sul risparmio, Brancher fu una delle persone che contattai per primo e si dimostrò disponibile a sostenere il ‘partito di Fazio’. Brancher controllava una serie di parlamentari sia di Forza Italia, sia della Lega. In cambio del sostegno che prometteva di offrire, concordammo la cifra di 300 mila euro che consegnai in tre tranche”. L’ex funzionario Fininvest non ha mai denunciato Fiorani per calunnia. Oggi è ministro.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/06/21/aldo-brancher-il-primo-ministro-reoconfesso-di-aver-pagato-mazzette-a-un-altro-ministro

sabato 26 giugno 2010

Segue,la guerra prossima ventura

"L'INVEROSIMILE” ATTACCO PROSSIMO VENTURO"

- DI GIULIETTO CHIESA - antimafiaduemila.com -


Israele è pronta ad attaccare l’Iran. Una crisi annunciata della quale Washington, contrariamente a quanto vorrebbe far credere, non è affatto all’oscuro. Anche la Russia e la Cina, a sorpresa, sembrano dare il via libera all’attacco in fede a inediti e non meglio precisati “scambi di favori”. Accettando un rischio di proporzioni non ancora prevedibili.

C’è da chiedersi: perché lo fanno?

Se siamo a 5 minuti, a 5 giorni, a 5 mesi, non possiamo saperlo. Ma che siamo a 5 anni possiamo escluderlo. Da dove? Dal momento in cui Israele attaccherà militarmente l’Iran e darà avvio a una crisi militare di così vaste proporzioni da modificare per una lunga fase i già precari equilibri mondiali restanti.

Questa crisi - annunciatissima ma che quasi nessuno vuole vedere - si aggiungerà, aggravandole drammaticamente, a tutte le altre crisi già in atto. Israele vi si accinge, incoraggiata da potenti circoli internazionali che sono interessati a un grande incendio: l’unico nel quale potranno essere bruciati tutti i libri contabili degli organizzatori della fine di un’epoca intera della storia umana.

Inutile rispondere alle obiezioni che di solito promanano da ogni sorta di anime belle: hanno tutte lo stesso difetto originario, consistente nell’applicare le regole del politically correct a Israele.

Quelle regole non sono usate da Israele essendo esse state inventate per i paesi normali, mentre Israele è un paese eletto. La sostanza di questo pensiero è che Dio sta dalla sua parte, è “con Israele”. E, quindi, ogni forma di analisi politically correct del comportamento di Israele appare insensata, essendo Dio estraneo a criteri del genere.

Quindi, invece di prevenire le obiezioni politically corrected mi limiterò ad elencare i fatti. Che sono molto più vasti, con le loro implicazioni, dei confini di Israele e conducono tutti, inequivocabilmente, ad un esito, dove Israele svolgerà un ruolo principale: quello detto all’inizio. Se poi quell’esito sembrerà dimostrare che Dio è con loro, non potremo che invocare quel Dio chiedendogli che “ce la mandi buona”.

Vediamo dunque i fatti. A cominciare dall’assalto al convoglio di navi pacifiste che, alla fine di maggio, intendeva rompere il blocco di Gaza. Sappiamo – fu chiaro fin dal primo momento della tragedia – che non è stato un malaugurato errore, ma una sanguinosa provocazione ideata a freddo per aprire uno scandalo internazionale di enormi proporzioni. Lo scopo era quello di punire la Turchia. Un segnale dunque.

Alle anime belle che si sono affannate a scrivere che l’attacco dei commandos israeliani ha provocato gravi danni alla causa israeliana, isolando ulteriormente quel paese perfino da molti dei suoi amici europei, si dovrà suggerire di guardare la faccenda da un altro angolo visuale. Israele non ha bisogno di alleati terreni, salvo uno, che è terreno solo in un senso particolare, sentendosi investito, da circa 100 anni a questa parte, di una missione divina anch’esso: gli Stati Uniti d’America.

E questo alleato non lo ha perduto e non lo perderà mai.

Si capirà meglio così che la violenza contro i pacifisti non è stata un incidente ma è stata organizzata proprio per spaccare la comunità occidentale e per costringere tutti a scoprire le loro carte. Del resto - secondo fatto da elencare – Ankara e Brasilia (new entry, quest’ultima, a sorpresa in questa partita planetaria) dovevano essere punite (il Brasile si aspetti il suo turno) per avere rotto il fronte dell’Occidente mandando i rispettivi presidenti a trattare con Ahmadi Nejad una soluzione che consentisse all’Iran di procedere senza essere disturbato con il suo programma nucleare civile.

Dunque occorre non perdere d’occhio il cospicuo movimento tettonico di cui è protagonista la Turchia. Esso procede con scosse di assestamento sempre più potenti e si ripete, il 9 giugno (una decina di giorni dopo la crisi della flottiglia pacifista) con il voto contrario (di nuovo la Turchia e il Brasile agiscono di concerto) alle sanzioni decise dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu contro l’Iran. Sanzioni, come sappiamo, promosse dagli Stati Uniti e accolte da Russia e Cina: ecco due novità di vaste implicazioni, piene di interrogativi come funesti vasi di Pandora.

Tra i fatti da tenere presenti, perché senza queste pennellate altrimenti il quadro non sarebbe completo, c’è la circostanza che, fino a ieri, gli aerei israeliani che sarebbero destinati ad attaccare l’Iran, come prima onda d’urto, si trovavano in una base Nato in territorio turco. Lo scopo era chiaro: disporre di una traiettoria di volo breve. Non mi stupirei adesso che quella traiettoria breve, senza rifornimenti in volo, non sia più disponibile e che quei caccia bombardieri siano già stati trasferiti, o siano in via di trasferimento in qualche altra base segreta, sicuramente non più in Turchia.

Per scoprire quale essa sia basta fare un piccolo esercizio di Risiko, carta alla mano, e elenco dei paesi Nato nell’area, senza trascurare qualche paese, più piccolo e ben piazzato, che è amico degli Stati Uniti e di Israele e che si trova nelle vicinanze dell’Iran. Altra buona ragione per punire Erdogan.

Ma altri fatti si accavallano in rapida successione. Il 7 giugno, due giorni prima del voto Onu, The International Herald Tribune, nella sua pagina di opinioni editoriali, pubblica un articolo di Richard V. Allen, che fu consigliere per la Sicurezza nazionale di Ronald Reagan nel biennio 1981-82. Allen, dopo avere esordito con queste parole (“con le notizie controverse che circolano a proposito di un attacco israeliano”), ricostruisce l’altro attacco israeliano di 29 anni fa contro l’impianto nucleare iracheno di Osirak, ancora in costruzione in quel momento. Curiosamente l’intero articolo sembra concepito per dimostrare che Washington non sapeva nulla di nulla di ciò che Tel Aviv aveva organizzato.

Lo stesso Reagan, apparentemente cadendo dal pero, chiede infatti a Allen: “Perché secondo te l’hanno fatto?”. Verrebbe da dire: beata ingenuità.

Il giorno dopo, nella Sala Ovale, si terrà una accesa riunione, mentre le polemiche dilagano nel mondo a proposito delle rovine ancora fumanti di Osirak. Rovine dell’allora alleato degli Stati Uniti Saddam Hussein. In quella riunione il vice-presidente di allora George H.W.Bush, George Baker, capo dello staff presidenziale, Michael Deaver, aiutante del presidente, si schierano per punire Israele, mentre il generale Alexander Haig, segretario di stato, e il capo della Cia William J.Casey sono per appoggiare Israele.

Se crediamo alla versione di Allen, il presidente Reagan fece il pesce in barile e rimase, in sostanza, ad ascoltare la disputa. Ma il finale è noto: alla fine di quell’anno gli Stati Uniti e Israele firmarono un accordo di cooperazione strategica.

Allora Dio era con loro, senza dubbio alcuno. Ma la domanda è questa (e spiega bene perché l’autorevole quotidiano americano abbia pubblicato proprio quell’articolo e proprio in quei giorni): 29 anni dopo sarebbe ancora possibile (anche se prendessimo per buono il racconto di Richard V. Allen) un attacco israeliano contro l’Iran senza che il Pentagono, la Cia e gli altri servizi segreti statunitensi ne sappiano nulla? Ovvio che Washington non è affatto all’oscuro di ciò che è già stato preparato. Neanche se lo volesse potrebbe ignorarlo. Perché i primi a non fare mistero delle loro intenzioni sono proprio i capi israeliani.

Lo stesso 9 giugno (che è poi il giorno delle sanzioni del Consiglio di Sicurezza), lo stesso International Herald Tribune rivela, in prima pagina, con un articolo da Gerusalemme di Andrew Jacobs, che una delegazione israeliana è andata a Pechino per far sapere ai cinesi, “senza melensaggini diplomatiche”, che Israele intende attaccare militarmente l’Iran.

L’esplicito proposito della visita, scrive Jacobs, era di “spiegare con precisi dettagli l’impatto economico che la Cina subirebbe nel caso di un colpo israeliano contro l’Iran”. Ipotesi che Israele “considera probabile quando dovesse ritenere che l’Iran potrebbe riuscire a mettere insieme un’arma nucleare”.

Si noti la formulazione: l’attacco avverrà quando Israele pensa che l’Iran “potrebbe riuscire...” non quando ci sarà riuscito. Cioè prima ancora che il pericolo si delinei e molto prima che esso sia attuabile, poiché una bomba che non può essere portata sul bersaglio non costituisce un pericolo reale e l’Iran non dispone di vettori per la bisogna e, ove si avvicinasse a questo obiettivo, non potrebbe tenerlo nascosto alle osservazioni dall’esterno e dall’interno cui è sottoposto incessantemente da tutti i servizi segreti occidentali e orientali.

Non viene detto come i cinesi abbiano reagito ai chiarimenti israeliani. Si sa solo che hanno votato le sanzioni, seppure mantenendo, come ha fatto Mosca, alcuni distinguo. Ma – ecco un altro fatto - tre giorni dopo l’articolo citato, tre giorni dopo il voto all’Onu, ecco la notizia che la Russia non onorerà più il contratto che aveva già firmato con l’Iran per la fornitura di 300 missili terra-aria. La perdita della commessa – rivela Russia Today quel giorno – vale oltre un miliardo e 200 milioni di dollari: un colpo per Rosvooruzhenie, eppure il Cremlino non muove un ciglio e getta via il tesoro.

Si tratta di armi cruciali per la difesa contro un attacco aereo e mediante missili di crociera. Anche qui il significato è inequivocabile: Mosca concede il via libera. Lo stesso giorno 12 giugno le agenzie riferiscono che l’Arabia Saudita, dopo avere informato il governo di Washington, concede il proprio spazio aereo al passaggio dei bombardieri israeliani. Negli stessi giorni fonti iraniane rendono noto che tre sommergibili israeliani, con missili da crociera a bordo, sono entrati nel Golfo Persico, sicuramente non all’insaputa del comando strategico degli Stati Uniti.

E, segnale apparentemente soltanto tangenziale rispetto a questo scenario, sempre lo stesso giorno a Bruxelles il ministro degli esteri russo, Lavrov, insieme ai suoi colleghi di Kazakhstan e Uzbekistan, annuncia la decisione di aprire la strada per il transito dei convogli della Nato (non più soltanto di quelli americani) che trasportino armi, uomini e logistica verso l’Afghanistan.

Quale sia l’interesse russo in questo “affaire” non è chiaro. Ovvio che stiamo assistendo a un grande “scambio” di favori, ma non ne conosciamo i termini. Mosca e Pechino accettano il rischio.

Perchè lo fanno? Né l’una né l’altra hanno qualche cosa da temere dall’Iran e, a prima vista, entrambe hanno qualche cosa da perdere. La Russia, per esempio, corre il rischio di vedere affacciarsi sulle rive del Mar Caspio un altro governo filo americano. Sicuramente in caso di una grande crisi militare – se l’Iran riuscirà a resistere e a infliggere colpi a sua volta – il prezzo del petrolio potrebbe balzare in alto. E, se questo sarebbe un bel regalo per Mosca, sarebbe invece un brutto colpo per la Cina. Certo Mosca potrebbe guardare con sospetto non minore di quello americano, al sorgere di una alleanza Turchia- Iran. Ma può essere anche che Cina e Russia ritengano che l’avventura iraniana si risolverà strategicamente in un nuovo disastro per gli Stati Uniti: la classica immagine di chi sta seduto sulla riva del fiume per aspettare il passaggio del cadavere del nemico. Per giunta avendo ricevuto dal nemico agonizzante qualche regalo. Ma dev’essere stato un grande regalo davvero.

Certo è che l’operazione Teheran comporta un grande scenario preparatorio. Grande quanto il fuoco che ci si prepara ad accendere. E non dopo, ma durante, la presidenza del premio Nobel per la pace Barack Obama.

Giulietto Chiesa
Fonte: www.antimafiaduemila.com/
Link: http://www.antimafiaduemila.com/content/view/29137/74/



http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=7

giovedì 24 giugno 2010

E' ufficiale: Berlusconi porta anche sfiga





http://www.magnaromagna.it/satira/berlusconi/berlusconi-sfortuna/

1) Berlusconi va al Governo e comincia la recessione dopo anni di boom clamoroso e, contro le regole d’oro dell’economia: ovvero in presenza di bassi tassi di interessi e d’inflazione bassissima.
2) Si dichiara vicino agli alleati americani al momento della vittoria delle elezioni e tirano giu le Torri Gemelle.
3) Si interessa personalmente delle fioriere e dell’organizzazione del G8, e scoppiano moti di piazza e ci scappa il morto, Non accadeva dai lontani anni 70…..
4) Decide di spostare i voli da Milano a Roma Fiumicino e cade il primo aereo da sempre a Linate, ma non in giro, sugli hangar!
5) Vicino alla sua villa di Arcore si scatena un tornado devastante che gli abitanti non ricordano a memoria d’uomo.
6) Promette che assisterà alla finale dei Mondiali a fianco dell’Italia e la Nazionale viene immediatamente esclusa agli ottavi di finale
7) Varato il primo “pacchetto” dei 100 giorni del programma Berlusconi: subito dopo si verificano 6000 licenziamenti nel settore turismo. Aggiungerei a questo proposito che dopo il varo del pacchetto sul lavoro, Berlusconi stesso ha licenziato un extracomunitario alle sue dipendenze….Terim !!!!!
Sostiene la legge Bossi Fini per risolvere il problema dell’immigrazione, e si moltiplicano gli sbarchi di extracomunitari in Italia
9) Sostiene con ottimismo la ripresa dell’economia italiana, contro ogni evidenza, e a distanza di un anno dal suo insediamento, si profila la chiusura della principale industria meccanica italiana: la Fiat
10) Dichiara che finalmente si costruirà il ponte sullo stretto di Messina e immediatamente l’Etna si risveglia!
11) Si dichiara grande amico di Putin, lo invita a casa, e parte l’escalation del terrorismo in Russia
12) Promette che con la finanziaria metterà in atto la promessa di fare qualcosa per aiutare il sud, e si scateno terremoti in tutto il Meridione
13) Da quando sono suo amico sembrava mi dovesse andare bene ed invece sul più bello … ZACCHETE mi busco 11 anni!! Saluti da PREVITI By Claudia
14) invita Putin e le figlie in Sardegna, e in Cecenia scoppia il finimondo By Nicola G.
15) il 5 ottobre augura buona partita all’Inter e questi prende una batosta. Ora manderà una lettera agli italiani. Non apritela cestinatela. Porta iella. By Nicola G.
16) Berlusconi dice che farà l’Italia vincente come il Milan e questi becca quattro pere dal Deportivo e va fuori dalla Coppa




http://lopinionedifabio.ilcannocchiale.it/2009/01/26/berlusconi_porta_sfortuna_ecco.html

Si allunga l'elenco dei fatti che mi fanno affermare che Silvio Berlusconi al Governo porti sfortuna. Solo negli ultimi giorni si registrano:
1) Oggi: netta sforbiciata delle stime di crescita per l'Italia da parte del Fondo Monetario Internazionale. Secondo il Fmi, il Pil italiano segnerà nel 2009 un ribasso del 2,1% contro il -0,2% stimato a ottobre scorso.
2) Oggi: Sepolti dal fango nella loro auto in autostrada. E' di due morti e 5 feriti, di cui uno molto grave, il bilancio di una frana che ha invaso nella notte entrambe le carreggiate dell'autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria tra gli svincoli di Rogliano e Altilia Grimaldi.
3) Oggi: Scontro tra le forze dell'ordine e i profughi sbarcati a Lampedusa questa estate e ospiti del centro della Croce Rossa Italiana in località Marina di Massa. Sciopero generale a Lampedusa.
4) Due stupri a Roma e Guidonia negli ultimi giorni nonostante gli annunci sulla sicurezza della destra.
E da quando si è insediato ad aprile in pochi mesi cosa è successo?
1) una crisi economica di proporzioni mai viste accentuata durante il suo governo con scenari foschissimi per il 2009 e 2010
2) fallimenti a catena di numerose banche, aziende automobilistiche e piccole-medie imprese
3) la disoccupazione che torna a salire in Italia dopo anni di discese
4) eventi climatici che non si verificavano da anni con innondazioni, nevicate mai viste, venti fortissimi
5) gli sbarchi di clandestini si triplicano rispetto all'anno precedente
6) l'italia, dopo la vittoria al mondiale (naturalmente quando abbiamo vinto lui non era a capo del governo) viene eliminata agli europei.
7) giorni fa la terra è tornata a tremare con terremoti nel nord Italia dopo anni
8) ESPLODE NUOVAMENTE IL CONFLITTO IN MEDIO ORIENTE DOPO ANNI DI TRANQUILLITA'!!!
9)2010 Governo Berlusc.campionati del mondo di calcio Italia fuori aL PRIMO TURNO - mai successo

Speriamo di liberarcene presto!!!!!!!!

L'elenco continua con le tragedie in calabria

mercoledì 23 giugno 2010

Nichi for President





"Noi ci battiamo per il bene di tutti, anche per quello di Silvio Berlusconi: perchè un vecchio di 73 anni si deve rilassare...


non deve vivere con l'angoscia del sudore che gli scioglie il fard"

A Pomigliano non è stato il trionfo che la Fiat voleva

Il commento dell'economista Ancona


Sconfitta di Marchionne (1673 no su 4642)



I no al decreto Marchionne sono stati numerosissimi, assai di più di quanto fosse lecito aspettarsi da un evento svoltosi in un clima di pesante intimidazione con il ricatto della chiusura dello stabilimento fonte del lavoro e della vita di cinquemila lavoratori e delle loro famiglie. Accanto alla Fiat si erano e sono tuttora schierati i massimi calibri del governo e della politica italiana da Bersani a D'Alema a Sacconi e la Confindustria non ha mancato di coprire tutta l'operazione non solo con intenso traccheggio con i partiti e i maggiorenti della Oligarchia ma anche con i ripetuti insulti della signora Marcegaglia ai lavoratori. Qualcuno dei pennivendoli più servizievoli della Fiat si è spinto financo a tacciare gli operai come ladri. I no sono oltre un terzo dei votanti: 1673 su 4642. Voti pesanti che valgono moltissimo perchè scaturenti da un convincimento profondo che ha permesso di
superare controcorrente una pressione enorme.Merito della Fiom e dei Cobas che hanno dato una indicazione di difesa della salute, della dignità e della libertà dei lavoratori e della città di Pomigliano che non può e non deve diventare sede di uno stabilimento-penitenziario di sperimentazione di una spaventosa riforma della organizzazione del lavoro.
L'introduzione del sistema WMC succede all'uomo albero di Gianni Agnelli che 40 anni orsono fece la sua comparsa alla Fiat di Termini Imerese. Era un operaio che da una buca scavata sotto la catena di montaggio era costretto a tenere alzate le mani per stringere bulloni. Il sistema WMC voluto da Marchionne e dai sindacati collaborazionisti ridurrebbe i lavoratori a mero macchinario vivente e spingerebbe molti di loro al suicidio come è accaduto dovunque è stato sperimentato dalla Cina alla Francia. La lunga lista di suicidi della Telecom francese si deve proprio ai principi di questo nuovo Verbo post taylorista. Il plebiscito reclamato da Marchionne è originato dalla preoccupazione di avere la piena malleabilità dell'intera manodopera. Si afferma che basterebbe un granello per inceppare il meccanismo produttivo. Il sistema richiede una manodopera che sia docile, ubbidiente, capace di produrre per tutti i secondi della sua giornata lavorativa che non deve essere disturbata dalla pausa pranzo. Otto ore consecutive di lavoro a digiuno per proseguire magari con altre quattro o cinque ore.
Insomma la differenza tra un robot meccanico ed un operaio deve ridursi al minimo. A questo sarà anche difficile svuotarsi la vescica e non gli sarà permesso un solo istante di distrazione. Sarà controllato intensamente.
Il sistema WMC introdotto con il decreto Marchionne a Pomigliano diventerà la Grande Svolta reazionaria e fascista del sistema economico italiano. Il padronato si è attrezzato per vincere tutte le resistenze e sollecita alla politica una svolta anticostituzionale. L'attacco all'art.41 della Costituzione
è in linea con il sibilo della frusta di Marchionne e della Marcegaglia. Con questa Costituzione il sistema WMC non può convivere. Il lavoro deve perdere ogni contenuto di umanità, dignità, libertà e questo potrà farsi con la collaborazione di sindacati "venduti" ma abbisogna di un nuovo contesto legislativo e costituzionale.
L'Italia dovrebbe diventare una vera e propria Caserma del lavoro militarizzato. E' il più grave attacco della lotta di classe del padronato contro i lavoratori che dovrebbero cedere la loro autonomia in cambio di una squallida ed infelice sopravvivenza fisica priva di diritti.
Ma a Pomigliano questa linea ha incontrato una fortissima resistenza. Si tenterà di aggirarla spingendo la CGIL a firmare l'accordo, si tenterà di mettere in crisi la Fiom additata ieri da D'Alema come isolata
e perdente. Bersani chiede il rispetto dell' "accordo" facendo capire alla Fiat che il PD lavorerà per piegare le resistenze.
A volte, chi troppo vuole o chi si sente talmente sicuro da fare lo spaccone, da svillaneggiare come ha fatto Marchionne in questi giorni, non ottiene i risultati che si prefigge. Avrebbe fatto bene Marchionne ad accettare il furbo suggerimento di Epifani di rinunziare a scioperi e malattia per fare passare il grosso della sua riforma. Si è incaponito ed ha permesso ai lavoratori ed alla sinistra italiana di scoprire la natura orribile del suo progetto, di rifletterci sopra, di parlarne con la gente che ha capito e si è allarmata.
Il terzo che ha votato contro convincerà i due terzi che hanno votato a favore appena il sistema sarà messo in funzione. Basteranno pochi giorni per fare capire agli abitanti dello stabilimento intestato al grande filosofo napoletano che è preferibile uccidersi piuttosto che ridursi ad ingranaggi
del profitto Fiat. L'uomo di Vico capace di pensare l'infinito non ha nulla da spartire con il robot di Marchionne. Ed è anche difficile cancellare un paio di secoli di continua emancipazione degli esseri umani dalla barbarie della violenza dei potenti e degli sfruttatori.


Pietro Ancona
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Il lavoro e la nostra reputazione di Furio Colombo

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lunedì 21 giugno 2010

Pomigliano/Italia: il commento dell'economista Ancona

Il bluff dei piani A, B e C del padrone delle ferriere

Colpiva ieri nel duello televisivo tra Landini e Sacconi l'atteggiamento velenoso del Ministro del Lavoro che si comportava come sostenitore delle ragioni della Fiat
e usava tutte le armi per intimorire e criminalizzare, il coraggioso ed appassionato segretario della Fiom. Se salterà l'investimento la colpa sarà della Fiom e non si capisce perchè dal momento che quattro sindacati su cinque hanno firmato in calce al decreto Marchionne. Perchè si vuole a qualsiasi costo il consenso della Fiom? Perchè Lucia Annunziata cercava di sapere sotto quale percentuale di no la Fiat ritirerà il suo impegno? A quanto pare a Marchionne non basta vincere il referendum. Vuole un plebiscito! Vuole che tutti aderiscano senza se e senza ma al suo diktat, alle sue condizioni. Il suo nervosismo è aumentato perchè nonostante la mobilitazione dei quattro sindacati collaborazionisti e l'impegno del Sindaco e dei maggiorenti pdl di Pomigliano capeggiati da Cosentino la manifestazione di implorazione alla Fiat è stata un fallimento. i telegiornali e la stampa hanno parlato di cinquemila partecipanti (cinquemila è il numero fatidico corrispondente ai dipendenti della fabbrica di Pomigliano) ma c'è chi afferma che si trattava di non più di duecento persone!
Le notizie che giungono dai vertici della Fiat confermano il sospetto che il piano B (la Panda in Polonia) sia stato e continui ad essere un bluff. Si parla di un piano C e cioè della fondazione di una nuova società che subentrerebbe nello stabilimento Giovanbattista Vico assumendo ex nuovo i lavoratori. Insomma si farebbe come all'Alitalia con la stipula di un contratto del tutto nuovo e la selezione rigorissima del personale più malleabile e più disponibile a soddisfare le voglie del management. Colpiscono le dichiarazioni di Marchionne sull'alta qualità dei prodotti Fiat realizzati all'estero contrapposta alle auto prodotte in Italia. In verità si ha l'impressione di assistere al gioco delle tre carte e che non siano chiari gli obiettivi veri della proprietà. Perchè questa provocazione a Napoli? In fondo la Fiom aveva aderito al suo progetto tranne che per gli aspetti chiaramente anticostituzionali. Epifani aveva detto che stralciando le due questioni del diritto di sciopero e della malattia l'accordo si poteva fare. Io non condivido l'adesione ad un progetto che vuole i lavoratori digiuni per otto ore e che sequestra la loro vita privata. Ma la disponibilità ad accettare qualsiasi sacrificio era stata data. Ed allora, perchè si vuole stravincere e si pretende la sottomissione a condizioni che cancellano tutti i diritti e stabiliscono obbligazioni per i lavoratori che li riducono a soggetti passivi, a macchinario vivente? Credo che lo scopo riguardi non solo Pomigliano ma tutto il gruppo Fiat italiano che viene violentemente strattonato e ridotto a produzioni secondarie ed in via di esaurimento. Insomma si sta alzando un polverone per avere il pretesto di mettere tutto il gruppo Fiat italiano in un binario morto senza futuro. La situazione italiana è aggravata da diversi fattori politici assai preoccupanti. In primo luogo il governo non svolge il suo ruolo istituzionale super partes e di attenzione ai problemi strategici dell'industria italiana. Si limita a fiancheggiare con urla da stadio Marchionne. Tremonti ne esalta il profilo "riformista" mentre Sacconi lavora davanti e dietro le quinte per indebolire la Fiom ed isolarla. Il PD appoggia apertamente la Fiat di cui è da sempre il partito di riferimento e non solo a Torino. La CGIL ha un atteggiamento di pubblica ostilità verso la Fiom e la sua volontà viene espressa dalla minoranza Fiom che si dichiara disponibile ad accettare tutto dopo il referendum di domani. L'intervista di Epifani al Corriere della sera contiene affermazioni sconcertanti.
Lo scenario politico generale in cui si svolge la vicenda è di sfascio. Ieri a Pontida diversi Ministri tutti in divisa verde hanno minacciato la secessione del Nord. E' stato chiesto che i Ministeri si spostino da Roma a Milano, Venezia e Torino. Il federalismo è la via democratica alla separazione secondo Bossi ed altri autorevoli esponenti del Governo. Tra questi il Ministro agli Interni. La macellazione della bestia-Stato secondo la dottrina Tatcher-Reagan è in corso. I servizi i del welfare sono tutti in crisi mentre l'oligarchia politica diventa sempre più autoreferenziale e pensa ad arricchire se stessa. Gli scandali della cricca al governo dilagano oltre-tevere e viene meno anche la autorità morale della Chiesa che, in un paese cattolico, desta scandalo e disorientamento. I paesi colpiti dal terremoto o da disastri come L'Aquila ed i centri siciliani sono abbandonati a se stessi. Lo Stato non c'è e dove c'è pone grossi problemi di libertà e di democrazia nelle carceri, nelle scuole, dappertutto.
Infine non è accettabile che la vita della gente, la libertà, la democrazia dipendano da successo di mercato di una auto e dalla speranza che se ne consumino sempre di più. La competizione globale delle multinazionali dell'auto tende a peggiorare drammaticamente le condizioni degli operai-produttori per presentare un oggetto sempre più competitivo. Ma in questo c'è già una contraddizione mortale:
i produttori non possono essere ridotti in miseria senza uccidere il loro ruolo di consumatori. Se l'operaio non è in grado di comprare l'oggetto che produce le cose non andranno bene per nessuno.
Inoltre bisogna cominciare a ridiscutere gli oggetti che si producono e dove si producono. Il provincialismo dei sindacati italiani ha sottovalutato le ragioni dell'allergamento della UE voluto a suo tempo da Prodi e dalla borghesia capitalistica senza tenere conto delle condizioni di grande difficoltà di tanti paesi dell'Est europeo. Si è voluto mettere una grande zona di povertà a disposizione della industria occidentale per potere scorazzare liberamente ed indebolire e far regredire la condizione di vita di tutti i lavoratori che, nei paesi industrializzati, in tanti decenni di socialdemocrazia, avevano dato vita ad un sistema di vita civile, eccellente per molti aspetti (vedi sanità francese), invidiato dagli USA. Ma, nei paesi dell'Est europeo, c'è stata l'esperienza comunista rimpianta da un numero crescente di persone.Solidarnosc se confronta la condizione degli operai di oggi a quella esistente durante il comunismo si rende conto di quanto sia peggiorata financo sul piano della dignità delle persone. E questa è una contraddizione che non viene sanata da governi di destra.
E' giunto il momento di una iniziativa comune dei sindacati in Europa e creare un sindacalismo alternativo. E' necessaria una secessione dai sindacati collaborazionisti "moderati" per dare vita ad organizzazioni che siano sul il corrispettivo della Linke sul piano politico. Die Linke ha ereditato la cultura della socialdemocrazia europea. Un nuovo Sindacato deve ereditare la cultura
conflittuale che anche la CGIL ha smarrito. Un sindacato che non è fazioso, cioè, di parte è immorale! Non fa gli interessi dei suoi rappresentati. Se il Sindacato è moderato, si fa carico di tutto, contrasta non solo con gli interessi di cui è portatore ma chiude il futuro alla società. Il futuro si costruisce costringendo l'economia ad adattarsi a condizioni sempre migliori per i lavoratori. Queste condizioni danno splendore, lustro, prosperità a tutti. E' già accaduto in importanti decenni dominati dalla parola d'ordine densa di saggezza sociale: "il salario variabile indipendente! durante i quali l'Italia è cresciuta... Se dovessero essere i lavoratori ad adattarsi alle condizioni dell'economia il risultato sarà ed è già di regressione, di medioevo sociale!

Pietro Ancona
http://medioevosociale-pietro.blogspot.com/

Il Mussolini di questo c...




Grazie a Silvio, anche la nostra immagine nel mondo è sempre più brillante...



The Mussolini of Ass



Sure, you could focus on the corrupt, quasi-fascistic side of Silvio Berlusconi's long reign over Italy. But as his adoring supporters will tell you, that's not the point of "Silvio!" What sustains a nation is the man's dyed hair and shameless libido. Devin Friedman goes in search of the self-appointed dictator of macho hedonistic unprosecutable pleasure

By Devin Friedman giugno 2010 See Berlusconi's government of beauty. There is a place where all the breasts are large. Large, young, tanned, and naked. A place where everyone fucks and fucks and fucks and never dies. Where the men are rich and carefree and the women are beautiful and pliant and young. Where television quiz shows are strip quiz shows. Where sports-talk shows are sports-talk shows bookended by women in bikinis. The women in government, too, are the women of buoyant, ageless breasts. They are members of Parliament. They are the sexiest cabinet ministers in the world. In this place, most schoolgirls hope to get jobs someday doing the special TV shimmy-dance you do by yourself on-camera, and then maybe go on to marry a soccer player or take their place in the parliament of beauty. You don't have to pay taxes in this place, and the laws are only laws until they limit your dreams. This place was invented by one man, a man who changed the world of rationing and punishment into a place that promises you can have everything you want and need never be punished again. This man dreamed up the television, he appointed the ministers, he started the revolution, and he is the greatest living exponent of his vision. A man who never, ever gets old, never goes bald, never gets untan or looks as short as he used to. A man who never, never stops smiling.

In the winter, before the regional elections, the Presidente has booked the ancient Temple of Hadrian for an event for his political party. Rome is the living museum, they say, and this space, made from giant slabs of stone 2,000 years ago, today features a large banner with the Presidente's face on it and a phrase that roughly translates as "Join me, at my shoulder, to defend your desires, your interests, and your freedom." A few minutes before the Presidente enters, a music video plays on a big screen, depicting a huge political rally in the streets of Rome. Violins are struck. The footage of passionate party members holding candles is replaced by a visual of two young men behind a counter, scooping gelato…and one of them begins to sing: There's a great dream / That lives in us. / We are the people of liberty. / Presidente, we're with you. Then everyone in the gelateria sings: Thank God there's Silvio! There are young people in a classroom, on the steps of a government building, serving cornetti at a coffee bar. They sing that they are the people who want to change this dream into a reality. Now the man mixing cement joins in and sings. We are the people who never give up, / Who reach out and encourage each other! Now the girls running on treadmills join in! There are no old people in the video, there are no ugly people, there are no immigrants. There are only strong, passionate young Italians in business-casual clothes, who sing with feeling: Thank God there's Silvio!

Silvio Berlusconi loves this song. He was once a professional singer on cruise ships—this is before he became the third-wealthiest private citizen in Italy and the seventy-fourth-wealthiest man in the world—and often employs a pianist to accompany him in his homes. As the video plays, Berlusconi, the Presidente, enters the room through a side door and then disappears among the party members almost immediately. He appears from time to time with a hand on a woman's shoulder or kissing a man affectionately on both cheeks. Then he bounds onto the stage, sits at a table next to a striking woman with lustrous, shiny red hair, clasps his big hands in front of him, and smiles.

"We are here to disturb you once more," Berlusconi says. "To present one of the many initiatives of the People of Liberty." The People of Liberty is the current name of his party. He changed it from Go Italy! a few years ago, which is what the Italians say when they're cheering for their World Cup team. He wears a navy suit tailored in the Italian-tycoon style, crisp baby blue shirt, navy tie with white polka dots wadded at his neck. His face and hair and teeth are impeccable. His skin is a perfect tawny brown that goes whiter at the neck, where the makeup fades out. His hair isn't identifiable as hair, per se. It's more color than substance, a deep, shiny brown, and it's pleasing. You would never confuse any of it—the hair, the teeth, the skin—for something real. But it doesn't matter. The artificiality has long been acknowledged. It's like a woman who has excellent fake breasts: The image pushes certain pleasure buttons. Sitting there and speaking about the upcoming regional election, he makes a compelling argument for face-lifts.

"The other day the minister brought me this mound of letters," he says. "I think 300 letters, which asked again and again: When are you finally going to ask us to do something useful for our country?" In response, he says, they will be founding a new initiative called Freedom Promoters.

None of this was his idea, he explains. It was the people's idea. And as party leader, he felt he must let the people take to the streets, give more of their time, promote even more freedom. The people of hate accuse him of having become a dictator in the manner of Mussolini or one of the Roman emperors. But they don't understand that he is just a conduit for the desires of the people.

"It is important that the party be democratic—really democratic," he says. "I only execute the wishes of local party members."

For example, it is true that he passed a bill whereby citizens don't vote for actual members of Parliament (MPs) anymore; they vote for a party, and the party picks them. And as a result of that law, Berlusconi's personal criminal-defense lawyer has been made an MP. Several women who used to be showgirls on his TV stations were placed on the party's roster, and another four were on the roster for the European Parliament. Berlusconi's physician is an MP now, as are a number of his former executives. The people aligned for no greater purpose than to bring Silvio Berlusconi down say it is like when Caligula made his horse a member of the Senate. But that's the most vile sort of untruth!

"I never gave the name of any candidate in any election," the Presidente says. "The names that came from the base in the regions were just communicated to me." Including, apparently, the name of his dental hygienist, possibly the leggiest dental hygienist in the Western world, whom the People of Liberty will make a regional councillor in this election.

The party really belongs to the people. People like the woman seated next to him, Michela Vittoria Brambilla. If you want to understand the hunger the people feel for a man like Berlusconi, she's a good example. She's over 40 now, but she hasn't let age diminish her beauty. She was once a contestant in the Miss Italy pageant, and after that she read the news on one of the Presidente's TV stations. When he lost the election in 1996, she was despondent. As the party's movimentista (the official in charge of movements), she was responsible for the party's grass roots, like the activist group the Thank God for Silvio Girls. Later he appointed her undersecretary of tourism and, more recently, tourism minister. She sits on the dais next to Silvio Berlusconi and watches him with consuming admiration as he speaks about wiretaps, another of the great crimes of the people who want to bring him down, the people he calls the Party of Hate.

"This is an election…between a government that is trying to fuel trust, optimism, and a left that is only capable of spreading pessimism and self-infliction," he says. "Every day there are attacks on freedom.… Like your telephone. Whatever we say over the phone that we think is private, not only is it not private, it is published in the newspaper the next day. This is like a bucketload of mud thrown on someone."

The Presidente has a problematic relationship with recording devices. Even in Italy—a land of much corruption and mistrust and a breathtaking volume of taping and countertaping—the Presidente is a special case. Thousands of conversations—his conversations, conversations about him, conversations he's sanctioned—have been preserved, and some of that tape has made it into newspapers. Here he is on tape saying, "It means we will not fuck," after two showgirls failed to show up to entertain him and a former prime minister. And here he is apparently trying to win the majority in the Senate by getting TV jobs for various women thought to be senators' girlfriends. And here he is last year, after the governor of Lazio was photographed in a hotel room with a Brazilian transvestite and some cocaine, allegedly telling the governor it would be smart to pay to make those pictures go away.

Not that any of it has had much political effect on him. Even now the Presidente is by far the most popular political figure in Italy. It's not that he's survived; he is Italian politics. Even those who dread him will admit: There's Silvio Berlusconi, and then there is no one.

Of all the stories that surfaced during summer 2009, the best is the story of Patrizia D'Addario. Even more interesting than the possible dalliance with a 17-year-old girl from Naples; more than the open letter his wife sent to the Italian press, lambasting him for, among other things, putting up bimbos for Parliament; more than the revelations about the series of titty parties he threw at his Sardinian villa. None of these immerse you as fully in the fantasy world of the Presidente as Patrizia D'Addario's story.

Earlier this winter, the former prostitute arrives in Rome for an interview with GQ. Negotiations have taken place. D'Addario lives in Puglia, in Southern Italy, but she refuses to take the train. She'd fly on a budget airline, but her cousin and media handler would have to accompany her. Domenico is his name. They would stay in an inexpensive hotel, but the hotel must be paid for by GQ, and it would be better if it were in the historical center of the city. The interview is conducted in a room at a different hotel, near the Pantheon. (GQ decides on a suite so that the interview wouldn't be conducted in the bedroom, which, you know… How would that look?)

In the early afternoon, the taxi drops Patrizia and Domenico at the hotel where the interview will be conducted. They both wear dark sunglasses and pull rolling suitcases, looking as if they were an infamous prostitute and her cousin.

Even though the interview takes place in front of a tape recorder and there is no photographer present, as soon as she arrives at the hotel room, Patrizia carefully applies eyeliner and concealer and redoes her perfectly straight blond hair, leaving a series of smudged tissues and used applicator brushes on the sink. She sits on her chair with extraordinary posture and maintains that posture throughout four hours of conversation. It's the kind of posture that says: I may be the most famous prostitute in Italy, but I have a great deal of respect for myself. Domenico—a man of probably 50 with receding gums and surgically implanted hair that has been precisely cut and blown dry, wearing a sweater that doesn't do much to hide his small breasts—sits on his suitcase in the next room typing on his laptop.

"He was fun," Patrizia says about the fucking of the Presidente. "If it weren't for the videos I had to watch and the songs we had to sing. And the girls. The girls offering themselves to him. That I didn't care for."

The D'Addario episode began in November 2008, on the night Barack Obama was elected president. Silvio Berlusconi was supposed to attend a party, hosted by an organization that promotes relations between Italy and the United States, in one of the many meticulously restored salons in the center of Rome. The guests were expecting him. The host, an important senator in Berlusconi's party and the head of the foundation, had made promises that the Presidente would be there. He'll come and have a drink, be seen, make easy conversation. He is good company, very generous with his time. "Behave as if you have a ray of sun in your pocket," the Presidente used to tell his salesmen, when he was reinventing the television-advertising industry in Italy. And there seems still to be no greater joy for him than to shine the beautiful sunlight in his pocket onto every man, woman, and child he meets.

There were some prominent American businessmen there and some important figures from the People of Liberty. Hors d'oeuvres were passed; several flat-screen TVs broadcast the American election news; everyone waited for the arrival of the Presidente. But Berlusconi didn't appear. Antonio Polito, the vice president of the organization, approached Berlusconi's senator: Where is the Presidente? The senator said, Be patient. We think he will be here soon. Ten o'clock passed, and then eleven. And then it became clear that Berlusconi would never arrive.

"It was surprising!" Polito said when I visited the office from which he now edits a small center-left newspaper. "He always makes a fuss over his friendship with America. Of course, we found out this was the night he was with the escort Patrizia D'Addario."

A month earlier, in the capital of the southern province of Puglia, Patrizia D'Addario, age 41, possessor of expensively treated blond hair, met a man named Giampaolo Tarantini at a coffee bar. Tarantini was a businessman from Puglia who, it would turn out, supplied girls to Berlusconi for parties in Rome and Sardinia. The meeting had been set up by a mutual friend. There was a real estate project D'Addario was involved in that had been stalled and that she believed, if only she got help from the right people, could change her life. They had something to drink and discussed the project, and then Tarantini said, Come out to my car so we can have a private conversation.

"He said, I can give you a chance to go to Rome and meet the prime minister, but we have to go right away,' " D'Addario tells me through a translator in the hotel room. "I said my fee is 2,000 euros for dinner, and he said, No problem. Money is no object.'"

She arrived by plane later that night. In his hotel suite, Tarantini explained the rules of the party she would be attending. She must wear a black minidress, no stockings, and very little makeup. If the Presidente liked her, she would be expected to stay the night. She told him that she agreed to dinner, not to spending the night, and Tarantini said, "We can talk about this later."

At nine o'clock, Tarantini's car arrived at Palazzo Grazioli with D'Addario and two other women. The police at the gate waved them into the courtyard, where Berlusconi's bodyguards met her and took her by elevator to the apartments on the second floor. This wasn't Berlusconi's permanent residence—he has villas in Milan, Sardinia, Bermuda, the Bahamas—but it's where he stays when he's in Rome. I was in the building this winter; it's a large square building with a courtyard punched into the middle, with halls and elevators that radiate a subterranean cold and a facade stained with centuries of soot. Berlusconi rents it from people who are or used to be dukes—the Grazioli family—and who still live like eccentric, decomposing royalty on the floor below.

When the elevator opened, D'Addario walked into a great salon. There was a piano near one wall and a giant white screen on another side of the room. There were close to twenty women at the party, all identically dressed: minidresses without panty hose and with very little makeup. Besides Tarantini, the pianist, and the butler, there were no other men. After a while, the Presidente made his entrance and took a glass of champagne. Two girls slunk up to him. "We work as a team," they said as they caressed each other, "but since the recession we haven't been working at all." He thanked everyone for coming to this meeting of the Thank God There's Silvio Girls. It is this club that sustained him in his periods of political darkness. And then the movie began, a compilation of highlights from the Presidente's career. Here I am at the White House, going to meet George Bush, he said. And that is when I hosted the G8 summit! At this time I addressed the United Nations. D'Addario says she doesn't wear a watch but that the movie portion of the evening lasted at least two hours. Periodically a little dog would trot up to the Presidente's feet so he could pet it.

"Isn't he cute?" the Presidente said. "A gift from Laura Bush! His name is Frou Frou."

After the movie, the video "Thank God There's Silvio" came on, and the Presidente stood and sang. The women stood up and formed a conga line that snaked through the room, singing along and cheering.

D'Addario says Berlusconi was interested in her right away. He'd been told about her. "He was definitely funny. Charming. He approached me and told me how cute I was. And he asked me about my project. I said, I'm a lonely girl who has problems, and I need these problems to be solved.'"

The Presidente was in a fine mood. He asked D'Addario for a slow dance. Even with lifts in his shoes, he was slightly shorter than she was. Up close, she could see the makeup on his face. After the dance, he picked seats for everyone at dinner. He took D'Addario's hand and said, "My little entrepreneur, come with me. You're sitting with me."

"He noticed that I wasn't at ease," D'Addario says. "So he sat me next to him."

After dinner, he declared he was taking D'Addario on a tour of his apartment. Another girl joined them. They passed through a second grand salon and into his private quarters. In his bedroom, there was an enormous bed ringed in curtains, bigger than any bed D'Addario had ever seen. This is Putin's bed, he said. It was given to me by Vladimir Putin. They are close friends. The fall after this episode comes to light, he'll join Putin in St. Petersburg to celebrate Putin's fifty-seventh birthday. People like to guess what it is that Putin finds so companionable about Berlusconi, or if whatever it is can be deduced from the fact that Putin gave him a five-person bed as a gift.

The Presidente lay on the bed and pulled D'Addario next to him. The other woman was on his other side, and two more women joined them and lay at his feet.

"Do you like this bed?" he asked D'Addario, caressing her hand.

"It's huge," she said.

He said he'd like to take the girls to a spa. All the girls shouted, Yes, let's all go to a spa! After a few minutes of lounging in the bed, he took them to the next room and brought out a book of photographs of his villas. "What if we all went to my villa in the Bahamas for New Year's?" he said. All the girls shouted, Yes, let's all go to the Bahamas! He showed them pictures of ancient ruins at his Sardinian villa. He showed them pictures of rare cacti. D'Addario taped it all with a small digital recorder. In the hotel room, I ask her why.

"I taped every man I was with as an escort," she says. "It started because I was able to get my ex-boyfriend thrown in jail for abusing me. I was only able to do this by taping."

Tarantini told D'Addario that the Presidente had decided he'd like her to stay. But she said she was going to leave. She didn't like the harem vibe. Even when she had been to orgies, she explained, it was still basically one man for every woman. That night, though, "there was just one man with the right to copulate." She would later write this in her book, At Your Pleasure, Presidente. Tarantini docked her 50 percent of her fee for leaving early. Before she left, Berlusconi handed out gifts. There was a room full of them, and he went in and came out with gold butterfly necklaces inlaid with diamonds, which he gave to all of them.

"He gives women gifts," Antonio Polito told me when we spoke in his office. "In Rome there are at least fifteen or twenty girls driving around in green Minis from him."

After that night, Silvio Berlusconi wanted Patrizia D'Addario to come over again and this time stay the night. And so on the evening Barack Obama was elected, as various American diplomats and businesspeople waited for him to come to a party, she slept with him for the first time.

"When I came back the second time, it was the same thing. The same movie, the same songs. He watched it again like he never saw it. It was strange to me, but I guess it made him feel good."

There were only three girls this time. After dinner, the Presidente asked Tarantini to leave with the other two girls, then asked D'Addario if she wanted to take a shower. The next part of the tape she made was leaked to the press.

"I'll take a shower, too," he said. "And then, then you can wait for me in the big bed if you are done with it before me."

"Which bed?" she said. "Putin's bed?"

"Yes, Putin's bed.…"

"Oh, it's so cute…with those curtains."

D'Addario demurs about certain things, but she will say how he performed. "There are some rumors that he had problems because of a prostate operation, but he doesn't have these problems," she tells me. "He had no problems whatsoever. I spent the night, and I didn't do much sleeping. When the story came out, they asked me to give him grades. I gave him high grades."

In the morning, when she woke up, there were journalists in the apartment, waiting to get comments on the election of Barack Obama. The Presidente put a bathrobe over his pajamas and returned to the bedroom after he spoke to them. They had breakfast together. Some of what he said then was also leaked to the press. "I am the only leader in the world who has presided over two G8s, and now I will lead a third," he said. "I am unbeatable!" Around eleven, still wearing her dress from the night before, D'Addario was ushered downstairs by one of his assistants and into an inconspicuous Fiat Panda. Though they left by the back entry, there were still police at the gate. "Don't worry," the assistant told her, "they will pretend not to see you." A few months later, she was told she would be a candidate in Berlusconi's party for an upcoming election in Puglia.

She's angry about the whole affair now, because Berlusconi never came through on his end of the bargain, and the real estate deal languished. This was unconscionable to her. The rest she would have been okay with. In the summer, she found out she wasn't the only person who had tapes relating to her nights with the Presidente. She was called in by a magistrate who had stumbled onto the situation while investigating Tarantini for corruption. The magistrate took her deposition, but before her story could be leaked, she gave the interview to La Repubblica that made her famous. She says it was the best way to protect herself.

"The cognoscenti knew he was having sex," Antonio Polito told me. "We have many young girls in Parliament that he placed, and we knew about them." There was little evidence but a lot of fuss about one minister, Mara Carfagna. (A comedian named Sabina Guzzanti has been banned from television—and is being sued for libel by Carfagna—after saying at a rally in Rome that Carfagna, who is now minister of equal opportunity, got her job "by sucking the president's cock.") "Everyone in Rome knows that they were lovers," Polito said. "But what we didn't know for sure is the use of professional escorts."

The D'Addario scandal was the grand finale of the Summer of Presidente Love, which started last May when the story of Noemi Letizia broke. Noemi, a girl from Naples, had been at one of the parties at Berlusconi's Sardinian villa, and Berlusconi had gone to her eighteenth-birthday party, where he gave her a gold-and-diamond necklace.

"I dream of being a showgirl," she told a reporter in Naples. "I am also interested in politics." When the reporter asked her if she'd run for office in the upcoming regional elections, she said, "I'd rather have a place in Parliament. Papi Silvio will decide."

The Presidente's wife, Veronica Lario, made a public announcement soon after, saying she couldn't "be with a man who consorts with minors" and that he is "not well." She filed for divorce. Not long after, pictures taken at Berlusconi's Sardinian villa were published in a Spanish newspaper. There are lots of women in the photos, some of them topless. There was also a photograph that received considerable attention, of an older gentleman strolling naked on the pool deck, past two bare-breasted women, with what appears to be a partial erection. This man was Mirek Topolanek, the former prime minister of the Czech Republic. Then, in June, D'Addario's story broke in the papers, along with photographs some of the women at the party took of themselves in the Presidente's bathroom.

How exactly Berlusconi is able to survive such events—not just survive, but somehow emerge from every wounding stronger, like a shorter Italian version of Wolverine, with a face-lift and elevator shoes—is one of the great mysteries of world politics.

"People accuse him of taking care of his own business," one of his closest aides says, talking about Berlusconi's penchant for passing laws that have the effect of keeping himself out of jail or in power, "but the problems he has are the same for all Italian businesses, all Italian people.… Out of the personal bad thing, we make reforms for the common people."

There is a handsome coffee bar inside the Parliament building where the aide has agreed to answer a few questions. He looks a certain way, this aide, and speaks a certain way, but I am forbidden from revealing these things, because this is not the kind of aide who speaks publicly. The coffee bar is just outside a long corridor called the Transatlantico. This is where much of Italy's high-level political schmoozing takes place, and it's where prominent politicians meet with journalists to explain how exactly their Viagrist in Chief has managed to survive for so long. It got its name because it was designed in the manner of ocean liners in their golden age. The ceilings are about 4,397 feet high, and the floors are lined with long red carpets and sitting-room sofas. At ten o'clock in the morning, the chamber is preparing for a vote. There is a steady traffic of Italian men in nearly identical blue suits, plus a smattering of female MPs in short black pencil skirts and black patent leather stilettos. It's a breathtaking building to be in, the Italian Parliament, with its enormous and dimly lit reading room, its Byzantine-marble hallways lined with offices containing who knows what kind of gilded Roman treasures.

But how has he survived? I ask his aide. I remind him of all the books that have been written about the Presidente, about his suspected Mafia connections, about how the seed money for his first big real estate project came from a mysterious Swiss bank account. There are several books just about his sex scandals.

"It's not many books. It's one book over and over and over: The Dark Legend of Berlusconi."

What Patrizia D'Addario wrote about—isn't it more than a dark legend?

"That was a false scandal, raised by the opposition."

Paolo Bonaiuti, Berlusconi's spokesman, here making his rounds at the Transatlantico, has his Presidente talking points ready when he takes me into a small office in one of the corridors reserved for parliamentary officials. "You have a big tornado," Bonaiuti says in an ornate English. He's in his seventies and walks stiffly on calcifying hips. Today he's in a smart glen plaid jacket. "We have to wait until the dust settles.… If you try to catch the sex scandals in their reality, it's tiny."

Santo Versace, the brother of Donatella Versace, walks by the doorway just then in a blazer and a creamy lavender turtleneck, having just cast his vote. In a few minutes, Alessandra Mussolini, the granddaughter of Il Duce, will take the same path in a lovely silk dress.

"Every morning we risk a volcanic eruption," Bonaiuti says when I ask him about the resilience of the Presidente. "So many wiretaps that are irrelevant, totally irrelevant. For instance, about sexy adventures."

In the following days, I make a tour of the Talking Heads of Rome and ask some version of the same question over and over: How does the Presidente remain so firmly in power, despite the septuagenarian banging and the corruption scandals, etc.? Some people say it's because the opposition is weak. Some people say it's because the Presidente bangs hot escorts while people like the governor of Lazio bang weird-looking Brazilian transvestites. Everyone has a theory. Bonaiuti points out that he has never technically (arguably!) been convicted of a crime. Vittorio Feltri, the editor of the right-wing newspaper owned by Berlusconi's brother, speaks with me at his office in Milan. He smokes a cigarette and sits forward comfortably in his desk chair, in tortoiseshell glasses and a tweed cashmere blazer. Behind him is a bust of Mussolini, which he says serves as a "provocation."

"Part of the Italian mentality is that no one is demonized for their private life," he says. "You can't solve the problems by looking under the sheets of a politician. I have all the vices, so I can't judge anyone."

I ask him if people are impressed by a 73-year-old man sleeping with a woman half his age.

"It seems as if he doesn't just sleep with them!" Feltri says.

And the Italian people don't get mad that while he's hosting the Thank God for Silvio Girls, the GDP has basically stagnated during the past ten years?

"The Italians are rich," he says. "They eat well, they have nice houses. Even in the south of Italy, which is trash." Italians, he says, "cry a lot. But they fuck a lot."

When Berlusconi lost his job as Presidente the first time, in 1996, he hired two brothers named Crespi to help him regain office. It was their idea to do something called "the Contract with the Italians," which Polito says Berlusconi keeps in his bathroom so he can be reminded of his duty to the people even when he's on the toilet.

They've since parted ways. "We've been cured of Berlusconismo," one of the brothers told me. They work out of an office in the center of Rome now, as pollsters for other right-wing politicians. The genius of the operation seems to be Luigi Crespi, who looks a little like Karl Rove, if Karl Rove had charming facial hair and smoked cigarillos. When I visited them, he and his brother pointed out an illuminating trend in the Presidente's numbers. The Summer of Older Love did in fact do some damage to Berlusconi. But do you know what caused a bigger change? they say. This winter, during a campaign rally in Milan, a mentally unstable man threw a plaster replica of the Duomo at the Presidente. It broke his nose and two teeth and lacerated his face. (It was when he was getting his teeth fixed that he met the leggy hygienist/soon-to-be regional councillor.) Immediately after he was hit by the statue, Berlusconi's bodyguards hustled him into his little blue Audi. Before they sped away, though, the Presidente reemerged and climbed on top of the car. He stood there, in the cold streets of Milan, for a long, melodramatic moment, his head tilted upward and a beautiful expression of pride on his face, bleeding from the mouth, among a crush of people and television cameras. After that, his numbers skyrocketed. Because he instinctively knows how to appeal to the soap-operatic sensibilities of the Italian public, like a character on one of his own shows.

There's a documentary about Berlusconi called Videocracy that was made by a Swedish-Italian director named Erik Gandini. When I ask him how he understands the Presidente's political vision, he says, "He loves the idea of having fun. Fun is the mantra of Berlusconi. The politicians before him, they were just the brain. Just the head and mouth was moving, and the body didn't exist. Berlusconi is very physical. Just like Mussolini. Very virile. The smile. The body. The idea of having fun is so, so crucial. And he could make people dream. That's the typical side of the narcissist: Where I am, there is paradise."

If there's a distillation of that fun, an image that, along with the proud, bleeding face, explains why the Presidente survives, it is the famous old-man penis from the Summer of Love, the penis belonging to the former Czech prime minister. It is a normal penis, white, either semitumescent or caught in an upswing so that, captured there in the air, it looks semitumescent, perched above a pair of legs that are not the legs of a young man—a little skinny, a little short. But here in the world provided by the Presidente, this penis is allowed to swing in the bright Mediterranean sunlight, for once freed from the suit pants of respectable early old age, happy and carefree and unashamed, surrounded by friendly women in thong bikinis who love and accept this penis for what it is. You can be that penis, Italy. You don't have to pretend to be young or virile or world-beating; you can just be you, an aging, graying, stagnating nation, and still thrive in the world of fun.

In the weeks after I visit Rome, Berlusconi's party will overcome a vast sex-for-government-contract scandal that involved 350 women, a Nigerian gigolo, and the government's most effective administrator and win the regional election. There will be another, smaller scandal brought to light, sparked by a newspaper's publication of wiretaps of the Presidente telling the supposedly independent telecommunications administrator to personally intercede to get an anti-Presidente show off television. A high-profile Berlusconi-related bribery case will be thrown out, because a court will decide that the statute of limitations should have been applied to an earlier date. The Presidente will pass a law stipulating that he doesn't have to stand trial in two other big criminal cases—cases that have been plaguing him—until 2012. His term will be up in 2013, when he's 76. No one is able to imagine an Italy without him. Literally not a single person I spoke to. It's as if he's defeated the Italian imagination.

"We don't know what will happen when he dies," Antonio Polito says. "We don't even know if his own political movement will stay alive without him."

You can think of Italy as Berlusconi's lover. Sometimes she is his ex-wife, Veronica Lario, romanced and married and then set up in a private villa to fend off humiliation and age. And sometimes she is Patrizia D'Addario, manipulated into giving herself up in exchange for something she never gets. The wife never knows where the husband is, the girlfriend spends her life waiting for him, and he shows up late to one and then the other with beautiful gifts, like a gold-and-diamond butterfly necklace. It's the kind of relationship in which, if you're the woman, something is always being done to you—seduced, neglected, danced through beautiful salons high on champagne—and you have the power to do nothing. But someday a whole nation will wake up, and there will be only an imprint in the sheets where the Presidente has been. I bet he'll have left a rose, or maybe a little note scented with cologne. But then it will be time to get up, see if there's anything for breakfast, think back on the night before. And the people of Italy will then have to decide if they've been made love to or merely fucked.

DEVIN FRIEDMAN is GQ's senior correspondent.